L’altra stanza della politica
Una tradizione accomuna popoli diversi per cominciare il nuovo anno: si buttano le vecchie cose per prenderne nuove. Ci si dà una nuova chance: un ipotesi suggestiva, forse l’unica, anche per la politica. Oggi non c’è più spazio per piccoli o grandi aggiustamenti, bisogna cambiare stanza. Tutti. Da dove cominciare? Non certo da un appello morale: non saremmo nemmeno all’inizio. Non si tratta neppure solo di cambiare il personale politico. Dagli anni Ottanta spesso sono state chiamate singole persone, facce spendibili. Al massimo le loro voci raggiungevano qualche orecchio attento; ma, quasi sempre, sono servite solo a nascondere un’assenza di programmi. Allora cominciamo con dei buoni programmi. Necessario, ma non ancora sufficiente. Controllo democratico ecco la parola che va riscoperta dentro la nostra vita personale, di famiglia, di associazione, dentro la nostra attività lavorativa. Non ci è chiesto di diventare tutti politici dentro istituzioni o partiti (anche!), ma a tutti è chiesto, ciascuno in forza del proprio ruolo, di partecipare a costruire la comunità. Il fulcro per costruire la nuova stanza della politica è un rapporto nuovo e vitale tra società civile, con tutte le sue espressioni, e mondo politico. Oggi i più assenti siamo proprio noi: i cittadini. Al massimo guardiamo alla politica come alla squadra nazionale di calcio, accontentandoci di stabilire, al bar, la nostra formazione che sarebbe certamente vincente. C’è molto da fare oggi, adesso. I numerosi e delicati appuntamenti che quest’anno ci aspettano, dalle politiche al referendum sulla devolution, non ci trovino addormentati, ma capaci di sentirci l’altra Italia che già c’è, che ha idee e prospettive. Noi, mondo del civile, dalle piccole realtà di quartiere, di puro volontariato, alle grandi organizzazioni, facciamo rete, acquistiamo coscienza di avere un patrimonio politico da spendere: buone pratiche, ma anche una cultura. Abituati a lavorare sulle frontiere delle emergenze quotidiane, già coltiviamo motivazioni, fondamenti e prospettive, perché non aiutare i nostri politici a fare lo stesso? Abituati a vivere la diversità come ricchezza, perché non riconoscere indispensabile per il bene comune ogni punto di vista, anche in politica? Abituati a fare i conti con l’umanità intera, perché non introdurla come comunità politica di riferimento?