L'”altra” Italia si ferma
Promosso dal "Comitato primo marzo 2010" lo sciopero nazionale degli immigrati. Una giornata per far vedere cosa sarebbe l'Italia senza il contributo dei lavoratori stranieri.
Mezzanotte. Una delle tante fabbriche che costellano il nordest. A fare la guardia al forno a ciclo continuo ci sono Rachid e Mohamed (nomi di fantasia, ma indicativi dell’origine). Rachid si è appena svegliato: per lui la giornata inizia adesso, tonerà a dormire nel pomeriggio. Mohamed invece ha appena “pranzato”: lui le sue otto ore di sonno le dorme a partire dal mattino. «Da qualche anno ormai – ci racconta l’imprenditore – a fare i turni di notte sono solo gli immigrati». Difficile dire a priori se, nel caso in cui questi sparissero, gli italiani sarebbero disposti a prendere il loro posto attratti – in tempi di crisi economica – dalla maggiorazione dovuta al lavoro notturno; ma oggi, primo marzo, i lavoratori stranieri hanno deciso di far provare un brivido all’economia italiana incrociando le braccia per un giorno.
Storico fu lo sciopero degli immigrati illegali nel 2006 negli Stati Uniti, in cui scesero in strada a manifestare nella sola Los Angeles oltre un milione di persone. Chiedevano la regolarizzazione della loro posizione lavorativa e civile. L’iniziativa italiana si ispira a 24 heures sans nous (24 ore senza di noi), analoga mobilitazione promossa in Francia. Lo scopo è far capire quanto sia determinante l’apporto dei migranti non solo al mondo del lavoro, ma anche alla società nel suo complesso. A promuovere la giornata è il comitato “Primo marzo 2010”: italiani ed immigrati di prima e seconda generazione «accomunati dal rifiuto del razzismo, dell’intolleranza e della chiusura». La stessa data è stata scelta anche da Spagna e Grecia.
Dallo studio dei settori in cui lavorano gli immigrati, emerge che se questi decidessero di andarsene verrebbe inferto un duro colpo al funzionamento del sistema: pare infatti che siano occupati in maniera esattamente complementare agli italiani. Secondo il rapporto “Mandiamoli a casa”, che intende fare chiarezza su alcuni aspetti della questione sfatando i luoghi comuni, il 72 per cento degli stranieri svolge mansioni non qualificate (contro il 37 per cento degli italiani). I dati Istat parlano, nello specifico, di un 30 per cento di immigrati impiegati in agricoltura e artigianato (che sale al 50 per cento negli impianti di macellazione), e di una percentuale analoga di personale non qualificato nelle aziende (che arriva però anche a raddoppiare in alcune zone del Nord, specie nel settore dell’edilizia). Non parliamo poi di colf, badanti e baby sitter, che permettono a molte donne di poter lavorare – le ricerche di Bankitalia hanno rilevato che «per le donne la crescente presenza straniera attenuerebbe i vincoli legati all’assistenza familiare, permettendo di aumentare l’offerta di lavoro» – e del settore sanitario: sono circa 100 mila gli infermieri impiegati solo nelle strutture private, ai quali si aggiungono le numerose cooperative che collaborano con quelle pubbliche.
Facile intuire come interi comparti sarebbero a rischio blocco senza gli stranieri: prova il fatto che, pur costituendo il 5,8 per cento della popolazione, contribuiscono al Pil per il 9,1 per cento. Poiché il 92 per cento di questi è iscritto all’Inps, inoltre, provvede al pagamento delle nostre attuali pensioni per circa 6,5 miliardi di euro l’anno: la quasi totalità, quindi, dell’incremento di 6,9 miliardi registrato dall’ente previdenziale nel 2008. Secondo il rapporto Ismu 2009, tenendo conto del tasso di immigrazione attuale e del numero di italiani che andrà in pensione nei prossimi anni, al nord occorrerebbero un milione e mezzo di stranieri in più per mantenere al livello attuale l’offerta di forza lavoro al di sotto dei 50 anni, e mezzo milione in più al centro. La complementarietà, dunque, non è solo occupazionale ma anche demografica.
È indubbio, quindi, che se l’adesione allo sciopero di oggi sarà alta, per gli stranieri non sarà difficile far sentire il loro impatto. Sciopero che, peraltro, assume una veste formale con il supporto di alcune sigle sindacali solo a Trento, Trieste e Modena: per il resto si tratta di manifestazioni di vario genere organizzate dai comitati territoriali. Cortei, sit-in, dibattiti e raduni saranno accomunati alle 18.30 dal lancio in contemporanea in tutta Italia di palloncini gialli, colore simbolo della manifestazione. Tra i tanti enti e associazioni che hanno aderito all’iniziativa spiccano i nomi di Legambiente, Amnesty International, Emergency, Amref, i Cobas e la Fiom.