L’altra faccia della guerra in Cecenia

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La Cecenia, con i suoi profughi, le quasi quotidiane bombe e le tuttora frequenti “operazioni di pulizia”, sembra già lontana dall’interesse dei mass media. La tragedia dell’11 settembre e la guerra in Afghanistan ci hanno fatto puntare l’attenzione su un conflitto di un’altra scala. Eppure in Cecenia si muore ancora, decine di migliaia di persone preferiscono passare l’inverno in tende piuttosto che correre il rischio di tornare nelle loro città bombardate, e l’esercito russo continua a subire perdite nei confronti con i ribelli. Non manca però chi ce la mette tutta per attenuare le sofferenze della gente che, senza averne colpa, si è trovata in mezzo alla guerra. “La situazione dei profughi oggi è peggiore di un anno fa”, ci dice Maria Olsen, capo della delegazione di Mosca del Consiglio danese per profughi (Cdp); e spiega che non si tratta solo del degrado dei tendoni nei quali vivono, ma molti di loro, quando sono scappati in Inguscezia, avevano ancora un po’ di soldi e qualche oro di famiglia, “ma ormai hanno dovuto vendere tutto”. Il Cdp è la più grande Ong che opera nel Caucaso del nord, e la loro presenza lì risale già al primo conflitto in Cecenia. Sono loro che devono fare arrivare ai destinatari la maggior parte degli aiuti dell’Unione europea, che finora ha contribuito con circa 50 milioni di euro. Il Cdp ènato come un’iniziativa spontanea per aiutare i profughi ungheresi dopo la rivoluzione del 1957; “ma adesso riusciamo a lavorare con grande professionalità “, continua la Olsen, precisando che si tratta di gestire 400 collaboratori che assistono 400 mila persone “delle quali bisogna conoscere anche il numero delle scarpe”. Bambini della pace “Ho pensato che quei bambini potevano essere i miei figli”, ci racconta Aleksandr Nadyarnykh, ricordando l’impressione avuta mentre visitava l’improvvisata “sala di giochi” che la Croce Rossa ha creato in una delle carrozze ferroviarie che fanno da casa ai profughi del campo “Bella”, in Inguscezia. Lì i bambini fanno la fila in attesa del loro turno per poter giocare. Aleksandr lavora per la Croce Rossa e di campi di profughi ne ha visti, ma quella volta ha sentito che la sua testa incominciava a lavorare in un altro modo. “Non possiamo costringere Putin a fermare la guerra, ma qualcosa possiamo fare per questa gente”. E così con la moglie Anna e un gruppo di amici ha organizzato delle “vacanze” a Mosca per 30 bambini dei campi di profughi. “Io e Dimitri (Kuprin) abbiamo dedicato 70 per cento del nostro tempo alla preparazione del viaggio dei bambini, gli altri lavoravano nel tempo disponibile”, racconta Aleksandr, sottolineando che bisognava trovare soldi, permessi, alloggi, ed organizzare programmi. Sono stati sconsigliati dal distribuire i bambini in varie case, e così sono riusciti a trovare alloggio in una casa di vacanze appartenente alla scuola 548, nel sud di Mosca. Nella scuola hanno conosciuto anche il “Circolo”, un gruppo giovanile, creato da Elena Silaeva, che da undici anni “inventa” attività per bambini e giovani. Poi tante persone edorganizzazioni hanno aiutato, come McDonalds che ha “invitato” i “bambini della Cecenia”, offrendo un pranzo nei suoi locali, o il giornale Novaya Gazeta che li ha portati allo zoo; altri li hanno invitati al circo, al teatro per bambini, ecc. Un gruppo di specialisti in informatica ha creato per loro un “sito” Internet: www.detimira.ru – bambini della pace. Aleksandr Nadyarnykh dice che non avevano previsto di ripetere questa iniziativa, ma “siccome alla fine sono avanzati dei soldi, abbiamo potuto portare a Mosca ancora un gruppo di sei bambini “. Questa volta li ha accolti ilCircolo” nel suo campeggio estivo, che tutti gli anni viene organizzato per un intero mese, con la partecipazione di un centinaio di bambini e giovani dai 7 ai 17 anni. Curiosamente, i piccoli ceceni, venuti dalle tende dell’Inguscezia, erano più entusiasti del campeggio con i giovani del Circolo che del soggiorno nella città di Mosca. Il “forum” dei senza patria La Literaturnaya Gazeta era uno dei giornali più letti ai tempi della “Perestroyka”, ma già prima di Mikhail Gorbaciov era uno dei pochi spazi dove il potere sovietico tollerava qualche critica. “Stalin stesso aveva ammesso che il Giornale della Letteratura potesse servire come valvola di decompressione per l’intellighenzia “, ci dice Lidia Grafova. Ella ritiene che ai tempi sovietici “essere giornalista significava avere la possibilità di intervenire” e che spesso i suoi articoli in difesa dei diritti umani hanno aiutato persone concrete. Siamo venuti alla sede della Lite- raturnaya per parlare con la Grafova non del giornale, ma della sua attività in favore dei profughi. Tre sale qui sono utilizzate dal “Forum delle Organizzazioni degli Immigranti”. “In Russia 8 milioni di persone sono state costrette a lasciare la loro casa dopo lo sfascio del Urss”, spiega Lidia, aggiungendo che “tutte quelle teche sono piene di problemi”. Tutta quest’attività ha incominciato dieci anni fa quando a Baku è scoppiata una forte persecuzione contro gli armeni. “Quando ho voluto scrivere sulla situazione in cui si trovavano i profughi di Baku, ho capito che la stampa non era più in grado di aiutare queste persone”, racconta la giornalista, che allora ha deciso di creare un’organizzazione sociale. Il “Forum” è già la terza organizzazione creata da Lidia Grafova per aiutare la gente in difficoltà. “All’inizio ricevevamo le persone proprio qui nella sede del giornale, e qualche volta abbiamo anche fatto dormire qui qualcuno”, ricorda. Quando incominciamo a parlare della Cecenia il volto della giornalista diventa più pensieroso. “La guerra in Cecenia è arrivata a tutta la Russia, non c’è città dove non siano arrivate le bare di zinco. Oltre a questo, dei 600 mila soldati passati attraverso quella guerra, la maggior parte ha subìto traumi psichici se non fisici. L’immagine del ceceno, nel subconscio della popolazione russa, è quella del nemico, del terrorista”. Una delle iniziative della Grafova per i profughi ceceni si chiama “Dalle mani alle mani”, e non vuole essere soltanto una distribuzione d’articoli di prima necessità, ma è anche un tentativo di superare la xenofobia e di costruire “ponti”. Lidia racconta come fosse rimasta colpita da una signora anziana, che camminava appoggiandosi su delle stampelle, e che le aveva portato tutta la sua pensione di un mese, 500 rubli (20 euro): pur sapendo che avrebbe dovuto soffrire un po’ la fame, lo faceva volentieri perché “questi soldi – diceva – arriveranno a famiglie che soffrono la fame già da lungo tempo”. Oltre a raccogliere gli aiuti, poi bisogna metterli in ordine, organizzare il trasporto, la distribuzione, e questo 8-10 volte all’anno. “Adesso il nostro Forum sta organizzando il “percorso della pace”. Affittiamo un camion, che dagli Urali fino in Cecenia, facendo tappa in sette grosse città russe, raccoglierà regali per i bambini ceceni. Vogliamo che l’arrivo del camion in ogni città sia un avvenimento “, ci spiega la Grafova; e sottolinea che “questo è più importante per i russi che offrono che non per i ceceni che ricevono”. “Alle volte arrivo a casa tardi e penso che non ce la faccio più, che bisogna smettere, ma il mattino dopo Dio mi dà forze ancora”, commenta la giornalista riferendosi al suo lavoro degli ultimi anni. “Se avessi continuato la mia attività in mezzo agli scandali che adesso fanno notizia, avrei l’impressione di vivere inutilmente “.

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