L’alluvione del 1966 tra case del popolo e parrocchie
Per capire cosa succedeva a Firenze il 4 novembre di 50 anni fa basta conoscere l'appello che Bargellini, il sindaco dell'alluvione, rivolse da Palazzo Vecchio quella mattina a quelli che ancora non erano stati sommersi dai 70 milioni di metri cubi d'acqua, che facevano mulinello nelle piazze e nelle vie. L' appello, rivolto via radio perché erano saltati telefoni e luce, era quello di portare barche e gommoni in Palazzo Vecchio e di razionare l'acqua.
La città era diventata infatti un fiume che solo nella tarda serata si ritirò per lasciare la città avvolta in una ripugnante coltre di fango e di nafta che aveva invaso le case, i musei le biblioteche distruggendo mobili, seppellendo libri e opere d'arte di valore inestimabile, primo fra tutti il crocifisso di Cimabue. Un viscidume melmoso con il quale noi fiorentini abbiamo convissuto avendo come scarpe per mesi fangosi stivali di gomma.
Quei primi giorni la città era isolata ed i primi a soccorre Firenze siamo stati noi fiorentini armati di scope e di secchi, scope spesso rudimentali, mettendo insieme quel che restava di finestre, porte e sedie sconquassate dall'acqua. Con questi strumenti ci siamo aperti un varco nella montagna di fango trasudante acqua sotto la quale erano state sepolti le botteghe, i seminterrati, i piani rialzati e i primi piani.
La solidarietà però prese subito il via: tanti soldi, viveri e vestiario arrivarono al sindaco di Firenze da ogni parte dell'Europa e del mondo. Mentre sui giornali cittadini e sui muri delle strade infuocavano polemiche contro lo Stato che tardava ad intervenire non comprendendo la portata dell'immane disastro, ed i giovani accorrevano dall’Italia e dall’estero con un passa parola spontaneo per portare in salvo i libri della Biblioteca Nazionale ed i tesori d’arte. Zeffirelli girava un documentario sull'alluvione, che tanti soldi avrebbe fatto arrivare dall'America, i fiorentini si organizzavano non più con rudimentali scope, ma nelle case del popolo e nelle parrocchie, per dare un aiuto concreto a chi era nel bisogno.
Le sedi del Pci, le Case del popolo e le parrocchie furono trasformate in centri operativi di assistenza e soccorso. Quasi naturalmente confluirono in pochi giorni in 12 comitati unitari di quartiere. Un evento che ha segnato profondamente la vita della nostra città: da quella tragedia scaturì infatti un processo di partecipazione e di mobilitazione popolare che sovente anticipò o addirittura prese il posto dei poteri istituzionali.
La piena del fiume che sommerse la città innescò quindi un processo di partecipazione democratica destinato a evolversi nel decennio successivo fino a portare Firenze a dotarsi, prima grande città d’Italia, dei consigli di quartiere. Furono anche i prodromi della futura protezione civile, nata spontaneamente in quei giorni a Firenze, come sottolineò a suo tempo l'ex capo della protezione civile Bertolaso.
E per capire tutto ciò basta pensare che i 50 anni dall'alluvione non sono stati solo ricordati in questi giorni dal Comune di Firenze con il ritorno degli angeli del fango, dalla Messa nella basilica di S Croce concelebrata da vescovi e cardinali ex angeli del fango, dal restauro della ultima cena del Vasari, dalla mostra documentaria allestita nella sede della Nazione inaugurata dal Presidente della Repubblica, ma anche da alcune chiese e quartieri cittadini che attivamente contribuirono alla rapida ripresa della città.