L’albero capovolto

Si vede che Andrea Sciffo è uno scrittore serio, fin dal titolo (mentre nelle industrie editoriali gli addetti si prendono cura dei libri in pubblicazione, per la promozione di mercato, solo a partire da titoli-shock, se ci sono: ormai libri e pentole sono la stessa cosa, venghino, siori, venghino). Il titolo è L’albero capovolto (Ed. Il Cerchio), le cui radici, dice Dante, sono in Dio (Paradiso XVIII, 29- 30). Il sottotitolo, Scrittori del radicamento nel ‘900, spiega e contiene un secondo richiamo, anch’esso implicito, a Simone Weil, L’enracinement. Se ne fa un baffo, giustamente, Sciffo, delle esigenze pentolari degli editori industriali, e se si scorre l’indice, ahi, non c’è neppure un cenno a storielle chiuse in sé stesse, da gran premio letterario e susseguente macero. Qui si parla di sradicamento industrial-consumistico (Chi è sradicato sradica diceva la Weil citata da Sciffo), e i nomi che corrono vanno da quello della grande filosofa francese a Guardini, dai dimenticati R. Assunto e R. Quadrelli, profeti inascoltati, a F.T. Marinetti (ma per ridimensionarlo, finalmente), a Pirandello, ma per coglierlo in un’abbandonata, struggente nostalgia del contrario di ciò che desolatamente affermava. Quello che Sciffo dice di Aldo Busi si estende alla sorte di quasi tutta la letteratura contemporanea (non diciamo attuale, che è un nobile aggettivo filosofico): intelligenza separata dalla gratitudine; così che essa, e qui la citazione implicita è da Bliot, finisce non con uno scoppio ma con una lagna. Il genocidio delle idee diagnosticato a suo tempo da Augusto Del Noce ha prodotto derive mortifere, cioè di nonsenso, anche nella letteratura (ci siamo dimenticati che i grandi, umanissimi e concretissimi romanzi di Dostoevskij, erano medesimamente romanzi di idee?), sfociando in un mercato editoriale che non ha niente da dire e lo dice stampando milioni di copie, tra edonismo e sgomento nichilistico, anzi in uno sgomento mascherato da edonismo. Parafrasando – dice Sciffo – le parole di san Gregorio Magno, si può dire infatti che la lettura cresce con colui che legge. Il primo gesto costruttivo sarebbe dunque ricominciare a leggere ad alta voce: quando si incontra un bel brano, un passo di una poesia, una frase memorabile, perché non leggerla a voce a sé o a chi sta accanto? Questo metodo, in casa, con i bambini, crea in loro una facoltà dell’animo: l’orecchio attento all’armonia del verbo. Fiabe, racconti, leggende sono materiali appropriati. Senza temere che qualcuno si sorprenda, come si meravigliò sant’agostino nel vedere che sant’Ambrogio, nel suo studio, leggeva con gli occhi ma senza la voce. Chissà quanti presunti capolavori tonferebbero, in questa esposizione del che e del come. È comunque un umile prezioso consiglio da non archiviare facendo spallucce. Poi c’è la scuola, che sui binari odierni dei programmi nichilizza, analizza polverizzando fino alla cenere (so di un professore che fa solo analisi strutturalistica dei testi, cioè nichilismo, dicendo che analisi letteraria e critica letteraria sono solo chiacchiere), e Sciffo testimonia (è insegnante), documenta, e scava il cunicolo per la fuga. Dall’altra parte c’è Romano Guardini, grande pensatore, un padre del miglior Novecento e un precursore del Vaticano II: non mi stancherò mai di consigliarlo a chiunque e per qualsiasi argomento umanistico-spirituale, perché Guardini nutre. C’è il miglior Calvino, che non è quello delle volatili Lezioni americane ma quello de La giornata di uno scrutatore. C’è Péguy dall’immenso petto, dall’immenso respiro, ci sono, di contro al nichilismo gaio (Del Noce) degli scrittori alla Umberto Eco, veri scrittori che sono rigorosi cercatori del vero, cioè del non effimero (G. Morselli, C. Campo, M. Pomilio, F. O’Connor). C’è un capitolo che contribuisce validamente a sgonfiare l’inutile e pretestuosa polemica sul grande Tolkien (cattolico), e ci sono le presenze buone, positive, costruttive di Eugenio Corti, Mario Rigoni Stern, Karol Wojtyla poeta. Penso, a questo punto, che il libro si raccomandi da sé.

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