Laicità per il terzo millennio

La guerra sul crocifisso e un promettente metodo di dialogo
crocifisso

Una possibile definizione di «laico» è questa: «Chi si pone dinanzi a problemi o scelte di tipo etico o politico con un atteggiamento libero da vincoli ideologici» (Devoto Oli 2007). Mentre una definizione di “ideologico” è questa: «Basato su preconcetti piuttosto che su una analisi oggettiva». Siamo tutti laici, quindi, se adottiamo un atteggiamento di apertura mentale che può aiutarci ad affrontare con un minimo di serenità anche un tema non facile come quello della laicità, che oggi divide aspramente, soprattutto in Italia, perché connesso con le nostre convinzioni più profonde.

Per ripercorrere velocemente il dibattito sull’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, possiamo partire da un fatto accaduto alcuni anni fa, quando un immigrato, ricoverato in ospedale, trovandosi davanti il crocifisso appeso alla parete della stanza, in un impeto di ira lo staccò e lo gettò dalla finestra, provocando il pianto triste e inconsolabile di una signora presente.

Se non ricordo male, su un quotidiano nazionale il consiglio di un importante commentatore fu più o meno questo: non è il caso di prendere la cosa di petto, lasciamo che sia il tempo a risolvere il problema, visto che le chiese si stanno svuotando e le nuove generazioni ormai non credono più in questo antico e assurdo mito.

Da cattolico, ho qualche dubbio sulla fondatezza di tale previsione, visto che da più di due millenni i maestri di pensiero di tutte le epoche prevedono la scomparsa della Chiesa cattolica.

D’altra parte è anche evidente il progressivo processo di secolarizzazione in atto, che prefigura, se continua così, un cristianesimo ridotto nel mondo a religione di minoranza. Questo potrebbe servire a far diminuire, in tanti cristiani, il senso di superiorità di chi si sente sempre dalla parte del giusto, senso di superiorità che fa scattare nei laici la reazione opposta, con il rifiuto, per partito preso, di qualsiasi cosa abbia a che fare con la religione. E il supporto, viceversa, di qualsiasi idea contraria.

Come la mancata menzione delle radici cristiane nella costituzione per l’Europa, che a posteriori appare più frutto di un rifiuto ideologico, che ragionamento fondato sulla realtà. Col risultato finale di costruire un’Europa senza fondamenta, senza identità. Ma forse sono troppo di parte.

Laicità per addizione e per sottrazione

Più recente è la sentenza della Corte di Cassazione, la quale ha stabilito che «sul piano teorico il principio di laicità è compatibile sia con un modello di equiparazione verso l’alto (laicità per addizione), che consenta ad ogni soggetto di vedere rappresentati nei luoghi pubblici i simboli della propria religione, sia con un modello di equiparazione verso il basso (laicità per sottrazione)». Questa compatibilità teorica deve però fare i conti con «la praticabilità concreta e il bilanciamento tra l’esercizio della libertà religiosa da parte degli utenti di un luogo pubblico con l’analogo esercizio della libertà religiosa negativa da parte dell’ateo o del non credente, nonché il bilanciamento tra garanzia del pluralismo e possibili conflitti tra una pluralità di identità religiose tra loro incompatibili». La conclusione della Cassazione è che «il crocifisso non lede la libertà religiosa».

Come evidenziato da questa sentenza, la posizione scomoda in cui si trovano oggi i combattenti del laicismo più spinto è proprio quella di dover sempre negare, togliere, ridurre, cancellare le differenze, i colori, la ricchezza, la varietà delle religioni e delle culture, in nome di simboli cosiddetti universali che appaiono però asettici, freddi, artificiali, senza storia. Simboli che magari non danno fastidio a nessuno, ma neanche aiutano o provocano emozioni profonde.

Il muro bianco e la laicità dello stato

L’altra possibilità, che piace a qualcuno, è quella di lasciare la parete vuota. Ma, come ha commentato Davide Rondoni, «il muro bianco è solo negazione di ogni storia”. E «una civiltà che non dà luogo a segni condivisi – come è il crocifisso – è civiltà morta».

All’altra estremità, si potrebbero riempire le pareti di tanti simboli quante sono le religioni e le culture. Tanti simboli che vuol dire nessuno, naturalmente. Anche questa, come l’altra, è una proposta impraticabile perché al limite bisognerebbe mettere sulle pareti dei tribunali tanti simboli quanti sono gli italiani. Si ribatte che bisogna salvaguardare a tutti i costi la laicità dello stato, ma, di nuovo, uno stato che ha paura della cultura e delle tradizioni del suo popolo o è una burletta di stato indegno di esistere o è un regime dittatoriale che impone il pensiero unico perché così si controllano meglio i cittadini.

Simbolo religioso e culturale

Ultimo atto, per ora, la sentenza inappellabile della Corte europea dei diritti dell’uomo che ha respinto la richiesta di togliere il crocifisso dai luoghi pubblici, per motivi culturali.

Ma allora questo crocifisso è un simbolo religioso o culturale? Direi entrambi. Sicuramente è simbolo religioso e come tale personalmente non avrei problemi a toglierlo dalle pareti dei luoghi pubblici, se non altro come atto d’amore per coloro che non lo condividono. Se una cosa ci ha insegnato Gesù è che «da ora in poi non su questo monte adorerete il Padre, ma in spirito e verità» (cf. Gv 4, 21-24). Per cui un credente non è legato alla presenza fisica di quell’immagine di Gesù che soffre, che può trovare invece molto più reale in ogni fratello che gli passa accanto.

Allo stesso modo, però, questo simbolo è anche culturale, è inutile negarlo, rappresenta la storia e i sentimenti più veri del nostro popolo, la sua identità tradotta nella trama profonda delle leggi, e come tale non va tolto, ma anzi valorizzato come simbolo di pace, accoglienza dell’ultimo, umiltà, unità, misericordia e amore oltre ogni limite. Un mio amico, laico non credente doc, mi ha suggerito di apporre in prossimità del crocifisso questa avvertenza: «Con l’esposizione del crocifisso non si intende affermare il primato della Chiesa cattolica e della religione cristiana sulle altre confessioni religiose. Esso rappresenta esclusivamente un simbolo di identità culturale in quanto in Italia, tradizionalmente, il sentimento della fede religiosa si è espresso nella forma del Cattolicesimo».

Tolleranza negativa

Non credo, quindi, che arriveremo da nessuna parte con la cultura oggi dominante di «quel simbolo mi dà fastidio quindi va tolto». E neanche con le pareti bianche, che significano appiattire le società, rendere gli uomini tutti uguali livellandoli in basso, togliere il senso della vita alla gente, ridurre tutto ad una razionalità soffocante. Il papa ha parlato recentemente della cosiddetta tolleranza negativa per cui la religione e la fede cristiana non possono più esprimersi in modo visibile: «Si tratta di uno sviluppo che conduce sempre più a una rivendicazione intollerante da parte di una nuova religione che pretende di essere valida per tutti perché razionale, anzi, perché è la ragione stessa che sola conosce e che quindi determina anche ciò che è rilevante per ognuno».

Allo stesso modo penso non ci possa bastare il nichilismo banale del “tutto è uguale a tutto, tutto è permesso, per cui nulla vale qualcosa”. A difenderci da questa tentazione, ricorrente in ogni generazione, penso sia la storia che ci ha dato nei secoli, e ci dà tuttora, dure e chiare lezioni a riguardo.

Un metodo per il dialogo

Detto ciò, però, come uscire da questa contrapposizione rigida sul crocifisso come su altri temi eticamente sensibili? Il primo passo è rendersi conto che sia le persone credenti sia quelle senza un riferimento religioso hanno bisogno le une delle altre. La vita è migliore, più interessante, varia, giusta e armonica se la società può contare sul contributo di entrambi. Non sono molte oggi le testimonianze di questo impegno fianco a fianco, basato su valorizzazione dei valori comuni, rispetto reciproco e assunzione della buona fede dell’altro. Ma qualche esempio c’è e fa ben sperare per il futuro.

In particolare vorrei concludere con l’indicazione di un metodo che ho ascoltato (e visto messo in pratica) nel dialogo tra la presidente del Movimento dei Focolari, Maria Voce, e i partecipanti ad un convegno internazionale tra persone di convinzioni diverse, religiose e non religiose. Nel dialogo prima di tutto bisogna avere una propria idea, per quanto possibile precisa e motivata. Poi porsi in atteggiamento di reciproco rispetto, senza l’intenzione, esplicita o nascosta, di convincere a tutti i costi. Quando il primo inizia ad esporre il proprio pensiero, l’altro deve fargli spazio dentro di sé senza filtri, accogliendolo senza pensare a come ribattere e accettando di essere contaminato dalle idee che riceve. Poi il secondo a sua volta esporrà il proprio pensiero.

Se l’atteggiamento di accoglienza, rispetto e stima sarà reciproco, alla fine probabilmente ognuno dei due rimarrà della propria idea, ma sentirà messa in luce dentro di sé quella parte del proprio pensiero che si avvicina maggiormente alla verità. Verrà fuori, per entrambi, una nuova comprensione dell’argomento, che supera la posizione iniziale dell’uno e dell’altro. Entrambi saranno più vicini alla verità e tra di loro. Con la mente e non solo.

 

 

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