L’agenda della pace per il nuovo governo

Non solo la revisione dell'acquisto dei caccia F35, ma criteri di discernimento sul voto legati alla pacificazione. Il vescovo di Pavia, presidente della sezione italiana del movimento cattolico per la pace, Pax Christi, offre una sua lettura
Guerre

Chissà se qualcuno risponderà al presidente di Pax Christi Italia, il vescovo di Pavia, Giovanni Giudici. Il suo predecessore, Tonino Bello, si vedeva almeno respingere gli appelli alla pace con un telegramma, come fece, in maniera stringata, negli anni ’90, Indro Montanelli, dettando il messaggio «nostro est giornale, non quaresimale».

A pochi giorni dalla scadenza elettorale dil febbraio, il movimento cattolico per la pace «chiede a tutti gli elettori che si apprestano a dare il loro voto per il rinnovo del Parlamento, di includere, tra le priorità su cui effettueranno la loro scelta, un chiaro impegno per la pace, la nonviolenza e il “ripudio della guerra”, come dichiara l’art. 11 della nostra Costituzione».

L’invito al discernimento al voto arriva mentre la nostra Penisola si appresta di nuovo a diventare la base logistica per un intervento militare in Mali, fortemente voluto dalla Francia e che desta perplessità in più di qualche osservatore. La vocazione geografica dell’Italia all’insediamento delle basi militari si sta anche scontrando con la decisione della giunta regionale siciliana di bloccare, a tutela della salute dei residenti, i lavori per l’installazione di potentissime antenne militari statunitensi a Niscemi (Caltanissetta).

Il presidente italiano di Pax Christi ricordando i 50anni dell’Enciclica Pacem in terris, che definisce la guerra «alienum est a ratione (una follia)», entra nel merito delle scelte politiche chiedendo la riduzione delle spese militari a partire dalla sospensione del progetto dei caccia F35, la cancellazione della “riforma dello strumento militare italiano” approvata a fine dicembre 2012 e lo stop alla corsa al riarmo, in forte aumento nell’Unione Europea.

Giudici, chiedendo un forte «no alla vendita di armi», ricorda l’incremento del 18 per cento di tale mercato avvenuto, nonostante la legge 185/90, nel 2012, con destinazione rivolta specialmente verso i Paesi in guerra come quelli del Medio Oriente.

Una richiesta esplicita, «come cittadini e come credenti», di scelte qualificanti rivolte ai candidati, per «un programma che abbia davvero a cuore il bene comune, cioè la vita di tutti e di ciascuno».

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