L’affetto pro-romano dei tedeschi

Itedeschi hanno paura di Roma, e Roma ha timore dei tedeschi. Così, semplificando, si potrebbe sintetizzare un’opinione e uno stato d’animo molto diffusi, definiti Complesso anti-romano, come titolò un suo libro il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar. Il timore di noi cattolici tedeschi nei confronti di Roma nasce dal fatto di sentirci guidati, di trovarci sotto tutela e di dover osservare tante prescrizioni che spesso ci sembrano irrazionali. Ad esse, comunque – meticolosi come siamo – ci sentiamo in qualche modo vincolati. E forse proprio questa scrupolosità spaventa Roma, perché i tedeschi vogliono verificare ogni parola che viene dal Vaticano. La novità è che adesso da Roma è giunto qui un papa tedesco con l’intento di infondere coraggio alla chiesa tedesca. Ma proprio questo avrebbe potuto alimentare una più profonda paura. Sarebbe stata quasi una catastrofe. Invece, è successo qualcosa di inaspettato: il sentimento anti-romano si è dileguato. Centinaia di migliaia di tedeschi sono caduti in un’estasi d’affetto papale, emulando stati d’animo e manifestazioni pubbliche di stampo mediterraneo, come hanno sottolineato con orgoglio giornali e tivù. Alle bandiere tedesche rimaste ancora dopo l’ondata nazionale provocata dal campionato mondale di calcio si sono aggiunte numerose bandierine del Vaticano. Chi l’avrebbe immaginato? I giovani hanno pronunciato il nome di Benedetto XVI non in lingua tedesca (Benedikt), ma in italiano. E il giornale tedesco più diffuso, Bild- Zeitung, è uscito con un incredibile titolo: Benedetto. Ti amiamo!. Che cosa mai avrà fatto questo papa per provocare nei suoi connazionali tali effetti? La risposta che qua tutti si sono dati è semplice: lui s’è mostrato com’è, ovvero modesto, autentico e razionale. La modestia di Benedetto ha colpito subito la gente. Non ha perso occasione per ringraziare pubblicamente quanti hanno collaborato alla preparazione del suo viaggio. Ha confessato a Ratisbona di sentirsi un po’ confuso per la fatica che il suo arrivo ha comportato per tanti. Non avete fatto tutto ciò soltanto per la mia povera persona; l’avete fatto lasciandovi guidare dall’amore per il Signore e per la Chiesa. Ha scelto un basso profilo per la sua figura di pontefice, decidendo di non fare riferimenti al suo ministero petrino, e così dando, in ambito ecumenico, un segnale molto importante. È sembrato quasi che Benedetto non si sia mosso da papa, almeno secondo i canoni classici dell’immaginario collettivo tedesco. Piuttosto ha dato prova di essere quell’umile servo nella vigna del Signore, come si autodefinì nel primo saluto dopo l’elezione. Allora quella frase poté suonare un po’ retorica, ma questo viaggio ci ha restituito tutta la sua coerenza. E chissà che la conseguente rinuncia ad ogni tentativo di dar peso e significato al grande ministero petrino non possa avere effetti importanti sulla comprensione del suo ruolo nell’orizzonte della cristianità? Benedetto XVI ha conquistato i tedeschi anche per la sua autenticità. Benedetto bavarese, lo si potrebbe chiamare d’ora in poi, perché non ha negato le proprie radici in alcuna occasione del suo viaggio. Certamente è dovuto anche al suo carattere bavarese il fatto che nei giorni della visita sia diventato costruttore di un ponte (pontefice) attraverso le Alpi. La sua gente – al di là del cliché dell’Oktoberfest – ha un carattere gioioso, squisito, sensibile all’arte. Insomma, una mentalità tutt’altro che distante da quella mediterranea. Di papa Ratzinger resteranno impressi il suo simpatico sorriso, quando a Monaco, mentre cantava durante i vespri, ha scorto tra i fedeli un conoscente; oppure il colloquio con una contadina, un tempo vicina di casa, informandosi del pozzo nel giardino; o la cordialità con cui ha stretto migliaia di mani e baciato bambini. Alcuni osservatori hanno parlato di sorpresa , ma in realtà non s’è trattato che di una risposta spontanea ai calorosi sentimenti espressi dalla gente. La definitiva conquista papale dei tedeschi è tuttavia avvenuta perché Ratzinger è andato a toccare il loro punto più forte e più debole allo stesso tempo: la ragione. Credere è una cosa ragionevole, ha ricordato a tutti. E questa è stata, probabilmente, l’affermazione più importante del viaggio in patria. Cui si accompagna la consapevolezza che Credere è una cosa semplice. Di grande spessore culturale è stato il suo discorso all’università di Ratisbona. Ma, in tutti gli altri appuntamenti, Benedetto XVI ha usato un linguaggio incredibilmente semplice, a volte quasi narrativo, riuscendo sempre comprensibile, anche quando ha sottolineato verità scomode o ha ricordato ai tedeschi che l’impegno sociale presuppone la prontezza dell’opera evangelizzatrice. Modesto e razionale il papa, esuberanti e affettuosi i tedeschi! Ed erano sentimenti per nulla anti- romani. I TEMI DI BENEDETTO XVI OCCIDENTE, ILLUMINISMO, ISLAM Mettere Dio al centro. Ecco il nucleo del messaggio di Benedetto XVI nel suo viaggio in Germania. Esiste – ha sottolineato nell’omelia a Monaco in riferimento all’Occidente – una debolezza d’udito nei confronti di Dio. Noi non riusciamo più a sentirlo, sono troppe le frequenze diverse che occupano i nostri orecchi. Con il venir meno di questa percezione, viene circoscritto in modo pericoloso il raggio del nostro rapporto con la realtà e l’orizzonte della nostra vita si riduce in modo preoccupante. Per questo motivo – ha ripreso nel duomo di Ratisbona – Dio deve tornare, non solo al centro della nostra vita, ma al centro della realtà. Fin dall’illuminismo una parte della scienza s’è impegnata a cercare una spiegazione del mondo senza Dio. Ma i conti non tornano! I conti sull’uomo, senza Dio, non tornano, e i conti sul mondo, su tutto il vasto universo, senza di Lui non tornano. Così, nella lezione all’università di Ratisbona, dove ha insegnato, Ratzinger, riprende il tema, chiedendo non il ritorno indietro, a prima dell’illuminismo, ma un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa . Auspica un incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione. Il pericolo sono infatti le patologie minacciose della religione e della ragione, con fondamentalismi dell’una e dell’altra specie. Solo se fede e ragione s’incontrano – ha evidenziato il papa – saremo capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni, perché le culture profondamente religiose del mondo vedono nell’esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime.

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