L’affascinante storia del libro
Irene Vallejo Moreu (Saragozza, 1979) è una scrittrice che alla sua ancora giovane età accumula premi di diverse categorie per il suo lavoro di ricerca, giornalistico e letterario. Dopo un dottorato in Filologia classica all’università della sua città e un altro all’Università di Firenze, la Vallejo si è dedicata con i suoi libri e articoli in particolare alla divulgazione degli autori classici. Un percorso, questo, comune ad altri autori. Quello che lei non si aspettava è stato il successo ottenuto da uno dei suoi ultimi lavori. In un’intervista di Mariano García pubblicata nel novembre 2020 su Heraldo de Aragón, il quotidiano di Saragozza, Vallejo racconta la sua sorpresa nel descrivere la genesi del libro: «Avevo studiato di libri, biblioteche, librai e letture dal punto di vista accademico, […]. Ma ne avevo trasmesso la conoscenza attraverso pubblicazioni specializzate e volevo che ciò si trasformasse in un saggio letterario. Ho accettato la sfida di scrivere un libro che chiunque potesse apprezzare come se fosse un romanzo d’avventura […]. Un libro che raccontasse la storia del libro stesso, i primi passi della cultura letteraria». El infinito en un junco, pubblicato anche in Italia da Bompiani: Papyrus. L’infinito in un giunco (tradotto da Monica R. Bedana), in pochi anni (prima edizione spagnola 2019) è stato tradotto in 22 lingue, e non solo in quelle più parlate (inglese, portoghese, cinese), ma in lingue con molto meno potenziali lettori (basco, finlandese, serbo).
El infinito en un junco ha ricevuto il Premio nazionale spagnolo per la saggistica 2020, un riconoscimento che, a causa della pandemia, l’autrice ha potuto ritirare solo il 13 luglio scorso. Sebbene si presenti come un “saggio”, in realtà mentre si procede nella lettura, oltre alla vera e propria “storia del libro”, si scoprono interessanti appunti sulla manifattura, sulla nascita dell’alfabeto, ecc., e si incontrano anche aneddoti personali e, soprattutto, percorsi di lettura che legano 30 secoli e arrivano fino ad oggi. Non c’è capitolo in cui non compaia uno degli oltre 40 autori citati, o riferimenti a qualche film di Stanley Kubrick, John Ford o Quentin Tarantino.
Scrive Michele Zanzucchi in un’interessante riflessione sul futuro del libro, pubblicata il 22 gennaio 2022 su cittanuova.it: «Meditando sulla straordinaria avventura del libro scritta dalla Vallejo, mi sono ricordato di un libretto scritto dal grande Calvino, […] Calvino comprese come la grande sfida del nuovo millennio sarebbe stata proprio quella di raccogliere le provocazioni della comunicazione informatica e coniugarle nella scrittura e atterrare poi nel libro». Che sia questo che ha intravisto nel testo della Vallejo?
Vorrei concludere con un brano che mi ha proprio colpito, dove Irene Vallejo mette in luce intuizioni latenti nell’umanità che spuntano qua e là, un secolo prima o tre secoli dopo. Parla dello storico Erodoto (484-425 a.C.) e della sua opera Le Storie, in cui lo storico greco narra anche delle guerre persiane. Scrive la Vallejo: «Il nostro autore non registra la versione dei Greci, solo quella dei Persiani e dei Fenici. In questo modo, la storia occidentale nasce spiegando il punto di vista dell’altro, del nemico, del grande sconosciuto. Mi sembra un approccio profondamente rivoluzionario, anche venticinque secoli dopo. Abbiamo bisogno di conoscere culture lontane e diverse, perché in esse vedremo riflessa la nostra. Comprendiamo la nostra identità solo se la confrontiamo con altre identità. È l’altro che mi racconta la mia storia, quello che mi dice chi sono io».
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