L’adolescente e il pediatra
Che la fase dell’adolescenza sia di pertinenza della pediatria è, allo stato attuale, un dato di fatto. Tutto il mondo scientifico è infatti unanime su tale collocazione; anzi, sebbene si consideri finora che l’adolescenza termina con il terzo periodo adolescenziale (15 anni nelle femmine e 16 e mezzo nei maschi), l’opinione pediatrica è d’accordo sull’ipotesi di innalzare l’indice di età fino a 18-24 anni, come discusso nell’ultimo congresso nazionale della Federazione italiana medici pediatri.
L’assistenza sanitaria agli adolescenti è tuttora uno degli aspetti meno programmati e numerosi sono i fattori da prendere in considerazione, se vogliamo offrire loro un efficace intervento psicosociale fino al raggiungimento della maturità. In realtà è arduo, durante l’adolescenza, stabilire un limite netto tra ciò che è normale e ciò che è patologico. Occuparsi di questa fascia d’età vuol dire spesso rassicurare i pazienti e i loro genitori sul fatto, ad esempio, che l’accrescimento e lo sviluppo stanno procedendo normalmente; identificare ed intervenire tempestivamente su problemi psico- sociali, qualora emergano particolari segni di disagio, dalle difficoltà scolastiche ai disturbi del sonno, all’uso di anfetamine, marijuana… come alle fughe da casa, nonché problemi alimentari, problemi di tipo ginecologico e malattie a trasmissione sessuale.
Nell’approccio con gli adolescenti il pediatra deve tener conto non solo delle idee che essi hanno sulla loro stessa salute, ma anche del particolare rapporto che vivono con gli adulti predisposti ad aiutarli; egli dovrebbe, nella sua veste quasi di consulente, stimolare il ragazzo a collaborare dato che in genere è più propenso a discutere dei suoi problemi col pediatra, verso il quale ha accumulato fiducia nel corso degli anni precedenti, piuttosto che col dottore degli adulti. Il pediatra dovrebbe poi sapere che l’adolescente è un giudice severissimo che gradisce alcuni comportamenti da parte del suo medico. Per questo sarebbe bene prendere alcuni accorgimenti. Ad esempio, offrire un ambiente adatto ed una calorosa accoglienza; concedere ai genitori e al figlio il tempo necessario per esporre in privato le loro problematiche ed assicurare che i loro punti di vista verranno presi in considerazione; stabilire un’atmosfera di fiducia; avere un tocco delicato e rispettoso; garantire all’adolescente e ai suoi genitori il segreto professionale; far sperimentare la comprensione. Anche quando il ragazzo non coopera o è ostile occorre sempre tener presente che questo atteggiamento è legato a stimoli interiori che lui ostenta ed è incapace di controllare. Una volta comprese le ragioni di tale ostilità, si può procedere a scegliere il trattamento terapeutico più appropriato in accordo anche coi familiari. Ultima avvertenza: non assumere mai toni paternalistici e dimostrare grande professionalità.