Lacrime di sport e di vera amicizia
Domenica 11 luglio 2021; Londra, tempio del calcio di Wembley; ore 23.55, minuto più, minuto meno. Due uomini, il capo della delegazione italiana, Gianluca Vialli, e il Commissario Tecnico della nazionale, Roberto Mancini, vengono immortalati dalle telecamere mentre si stringono in un abbraccio intenso, che aspettavano da 29 lunghissimi anni, con i volti rigati da lacrime di commozione e di gioia. La nazionale italiana di calcio è campione d’Europa dopo 53 anni dall’ultima volta, quando nel 1968, a Napoli, l’Italia guidata da Valcareggi e dai gol di Riva e Anastasi trionfò sull’allora Jugoslavia. Questa volta gli azzurri vincono contro l’Inghilterra, la patria del football, nello stadio simbolo di questo sport e, per questo, ribattezzato il tempio del calcio, Wembley. Basterebbero tutti questi elementi per comprendere il perché di un abbraccio di esultanza, come quelli di tutti i campioni azzurri che ci hanno regalato una bellissima serata. E poi, penseranno in molti, in fin dei conti si tratta solo di uno sport, ci sono cose ben più serie da pensare. Ma in quelle lacrime di Vialli e Mancini c’era qualcosa di più ed è per questo che in conferenza stampa molti giornalisti volevano comprendere meglio il significato di quel momento così emozionante. Per capirlo, occorre fare un passo indietro nel tempo di 29 anni.
Mercoledì 20 maggio 1992; Londra, tempio del calcio di Wembley, ore 22.50, minuto più, minuto meno. Due giovani uomini, il centravanti e il fantasista della Sampdoria, piangono lacrime amare di sconfitta: l’ultima grande favola del calcio italiano si infrange ad un passo dal tetto d’Europa. I blucerchiati vengono sconfitti dopo i tempi supplementari da una delle regine del calcio europeo, il Barcellona, dopo un bolide su punizione del difensore olandese Koeman. Un grandissimo gol macchiato, tuttavia, da un errore dell’arbitro il quale assegnò una punizione ai blaugrana che sarà decisiva e che i sampdoriani hanno subito contestato; tra i calciatori che protestano più veementemente contro l’arbitro ci fu il numero 10 e capitano della Sampdoria, Roberto Mancini. I protagonisti di quella squadra – che seppe scalare con simpatia, spirito di gruppo e freschezza le gerarchie del calcio italiano e internazionale – confesseranno di essersi sognati quella notte per tanti anni.
Passano le stagioni, la favola genovese viene smantellata, Vialli vince la Champions con la Juventus da capitano nel 1996, Mancini trionfa con la Lazio e poi da allenatore all’Inter e al Manchester City, portandosi dietro molti amici degli anni blucerchiati. Ma i loro sogni nel cassetto, mica tanto nascosti, restano sostanzialmente due: tornare a vincere con la maglia blucerchiata e con la nazionale per riscrivere belle pagine di sport. Certo, penseranno ancora in molti, in fin dei conti si tratta solo di calcio, ci sono cose ben più serie da affrontare. Eppure… eppure lo sport molte volte sa essere un condensato non superficiale e particolarmente eloquente della vita. Infatti in esso molto spesso – ahinoi non sempre – viene premiato chi più si impegna, chi sa abbinare al talento naturale un duro lavoro da professionista, chi sa stringere i denti in mezzo alle difficoltà, chi sa gettare il cuore oltre l’ostacolo, chi sa sacrificare se stesso per gli altri. Non solo ma sport di gruppo come il calcio sanno insegnare anche qualcos’altro, come per esempio che l’amicizia è feconda. Sì, perché mai come in questo Euro 2020 è stato il gruppo a risultare determinante: gli azzurri hanno dato prova di essere un gruppo di calciatori uniti, capaci di voler raggiungere un obiettivo collettivo, mettendo da parte i personalismi e gli interessi parziali. Un bellissimo messaggio reso possibile da uno staff tecnico contraddistinto, non solo da professionisti eccezionali del settore, ma da uomini di sport che, grazie al calcio, hanno saputo imparare valori straordinariamente importanti per la vita.
E così Roberto Mancini, con la sua sobrietà e trasparenza, in conferenza stampa ha svelato l’arcano di quell’abbraccio pieno di lacrime di sport con il suo fraterno amico Luca Vialli. Quando gli è stato chiesto a chi dedica questa vittoria così speciale, ha risposto: «Lo dedico veramente a tutti gli italiani, all’estero e in Italia. Per me è una cosa particolare e un pezzo di questa coppa…», aggiunge il CT esitando qualche secondo e tradendo una bella emozione che ancora fatica a contenere «la voglio dedicare a Paolo Mantovani (presidente della Sampdoria dello scudetto, ndr)… era qua con me trent’anni fa quando purtroppo la perdemmo in finale col Barcellona… e anche ai sampdoriani». Sì, il calcio è solo uno sport… ma lo sport, come tutte le cose umane, sa essere un messaggio bello per la vita perché sa unire le persone e sa costruire legami capaci di stringersi quando le cose si fanno più difficili. Facciamone tesoro.