L’accordo esplosivo

L’intesa tra iraniani e grandi potenze mondiali sul nucleare è un risultato diplomatico di rilievo. Le conseguenze vanno misurate dal punto di vista politico, diplomatico, militare e umanitario
Iran

«Accordo nucleare iraniano: dopo quello di Bruxelles, per tanti versi angosciante, si ricomincia a respirare "politica" e "diplomazia" e non solo "economia"». Così scrivevo stamani su Twitter. L'accordo, ogni accordo, è come sempre un compromesso, con le sue luci e le sue ombre. Anche questo agreement di Vienna non sfugge alla logica. Così Israele rifiuta in blocco l'accordo, ovviamente, paventando sconquassi in Medio Oriente. Ma le ragioni della soddisfazione sono ben maggiori. Bisognerà vigilare accuratamente sull'applicazione di quanto concordato, ma questa volta la portata del "deal" è fondamentale per i nuovi equilibri nella regione.

Finisce l'ostracismo con cui era stato colpito dagli occidentali, sin dall'avvento di Khomeini nel lontano 1979, il gigante sciita. Si pongono le premesse per un cambiamento di equilibri in Siria, Iraq, Libano, Yemen… Soprattutto, si riapre un canale di fiducia tra il mondo iraniano e il mondo Occidentale: checché ne dica Obama (ma lo fa, credo, per non scavare il già ampio fossato con Tel Aviv), che cioè l'accordo è sostanziato non dalla fiducia ma dal controllo, credo che le foto dei negoziatori, con in testa Kerry e Zarif e in mezzo l’unica presenza femminile e colorata, quella della Mogherini, dica esattamente il contrario. La fiducia si è in effetti scavato un breve pertugio dentro il muro della diffidenza reciproca tra Usa e Iran: la politica e la diplomazia, lo sappiamo, si nutrono di quella diffidenza e di quella fiducia, in mezzo alle quali stanno gli accordi tra gli Stati.

Non si può quindi che salutare con una buona dose di soddisfazione quest'accordo, anche se dovranno esserne verificate le ricadute, in primis nell'amato Libano (cosa farà Teheran con gli Hezbollah, sbloccherà la nomina del presidente, si metterà dalla parte dei facitori di pace?), nella travagliata Siria (Assad non verrà abbandonato dagli iraniani, ma cosa avverrà sul campo?) e nell'enigmatico Iraq (dove gli sciiti debbono scendere a compromessi con i sunniti per governare il Paese). Certamente la lotta contro l’Isis troverà giovamento dall’accordo, ma nel contempo si dovranno verificare le reazioni di quei Paesi sunniti che stanno guardando con interesse (e talvolta senza limitarsi allo “sguardo”) lo scenario del Califfato, Arabia Saudita, Qatar e Turchia in testa.

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