Quando l’accoglienza diventa un affare
Al momento in cui scriviamo ancora si rincorrono le notizie su quanto accaduto tra ieri pomeriggio e questa notte a Cona, nel veneziano, dove gli immigrati ospiti del centro di accoglienza sito in un’ex base missilistica hanno messo in atto una vera a propria rivolta. Tutto è iniziato verso mezzogiorno, quando una venticinquenne ivoriana è stata trovata priva di sensi nei bagni della struttura. L’arrivo dell’ambulanza non è purtroppo valso a salvarle la vita, e la giovane è deceduta poco dopo l’arrivo all’ospedale di Piove di Sacco. Nel pomeriggio sono iniziate le proteste, montate fino a degenerare in una rivolta vera e propria con tanto di roghi e barricate, che ha costretto 25 operatori ad asserragliarsi in uno dei container; fino a quando polizia e carabinieri sono riusciti, anche con l’aiuto di mediatori culturali, a riportare la calma verso l’una e mezza del mattino.
Sono ancora numerosi i punti da chiarire: secondo gli ospiti del centro la ragazza si sarebbe sentita male già nella mattinata, ma la telefonata al 118 – come testimoniano i tabulati – è partita solo alle 12.50; e per quanto l’ambulanza sia arrivata in una decina di minuti, era ormai troppo tardi. Versione tutta da provare – altri sostengono che la ragazza sia stata trovata senza sensi soltanto verso le 12.30 –, così come da accertare tramite l’autopsia sono le cause del decesso; ma questa è stata comunque la scintilla che ha fatto esplodere una rabbia che, sia da parte dei richiedenti asilo che da parte dei residenti, a Cona cova ormai da tempo.
Il centro non è infatti nuovo ad episodi di protesta per le pessime condizioni in cui i migranti sono ospitati: già se ne erano registrati a più riprese nel 2016, con vere e proprie “discese in strada” a gennaio e ad agosto per attirare l’attenzione sui tempi insostenibili di evasione delle pratiche delle domande di asilo che tengono relegati i richiedenti nell’ex basi militare. Anche Facebook è diventato terreno di sfogo del loro disagio, con una vera e propria pagina – Officiel Italie Immigration – che documenta tramite foto e video condizioni igieniche e di alloggio assai discutibili: «Ecco, questo è l’hotel a 5 stelle di Cona per gli immigrati, cosa ve ne pare?», chiede ironicamente l’amministratore della pagina. E per quanto tra immigrati e residenti non corra buon sangue, sul fatto che così non si possa andare avanti i due fronti si trovano d’accordo: social network, comitati e gruppi spontanei di cittadini non mancano di far notare come la frazione di Conetta, dove si trova il campo, conta 190 abitanti a fronte di un numero di ospiti che ormai viaggia verso quota 1500. Un numero eccessivo rispetto alle reali possibilità di accoglienza: già lo scorso maggio Gaetano Battocchio, presidente della cooperativa Ecofficina che che gestisce la struttura, aveva affermato a Il Corriere del Veneto che «Questi numeri sono realmente eccessivi: se si dovesse verificare una rivolta a Cona, scoppierebbe tutto. Se arrivano un paio di teste calde, lì bisogna chiamare l’esercito per riportare la calma… Se invece avessimo dei numeri più ridotti, all’incirca la metà degli attuali, allora sarebbe una struttura in grado di funzionare bene e rispondere alle esigenze della provincia di Venezia. Invece l’hanno sovraccaricata». E questo quando gli ospiti erano ancora meno della metà degli attuali: un modello di accoglienza diffusa, auspicato da Battocchio, non è mai stato implementato. Anche il prefetto Domenico Cuttaia, a fine settembre, aveva relazionato in alla Commissione parlamentare di inchiesta sull’immigrazione in merito alla criticità della situazione. «Questa non è accoglienza, è business», si legge da più parti nei commenti dei residenti.
E proprio la questione del business è un altro nodo cruciale. La cooperativa Ecofficina, con sede nel padovano, è infatti nota in Veneto per essere “il magnate dell’accoglienza”, dopo essersi aggiudicata la gestione di tutti i maggiori centri per un giro d’affari che sfiorerebbe i 10 milioni di euro. E fin qui si potrebbe anche dire che gli affari sono affari, se non fosse che la scorsa primavera Ecofficina è finita sotto la lente della magistratura per truffa aggravata ai danni dello Stato e irregolarità nelle assegnazioni di questi appalti: l’inchiesta si è allargata poi ad altri enti e ambiti, non si è ancora conclusa, ed è valsa ed Ecofficina l’espulsione da Confcooperative – ma non la sospensione dalla gestione dei centri. Insomma, i termini per lanciare gli ormai ben noti strali contro chi lucra sulla pelle di chi fugge dal proprio Paese – nonché su quella dei contribuenti europei – ci sono tutti, pur in assenza ad oggi di una condanna da parte della magistratura. E sono strali che non volano solo in quel di Venezia: la settimana scorsa a Volpago, nel trevigiano, i cittadini hanno protestato contro l’annunciata apertura di un centro di accoglienza nell’ex polveriera – giudicata da più parti inadeguata allo scopo – marciando dietro ad uno striscione che recitava “Benvenuti sul Montello, sarà il vostro inferno” e “Non passa lo straniero”. Poco importa ricordare che proprio Volpago, dopo la disfatta di Caporetto del 1917, vide la quasi totalità della popolazione fuggire in altre zone d’Italia per sottrarsi ai combattimenti: in un territorio che sperimenta sulla propria pelle i danni dell’accoglienza basata sulle grande concentrazioni e chiede (giustamente) alle autorità di non puntare su questo modello, ma allo stesso tempo rifiuta – vuoi per calcoli di convenienza politica, vuoi per una sorta di pregiudizio culturale – l’accoglienza diffusa, la Storia non sembra aiutare ad uscire da quello che appare un vicolo cieco.