L’acciaio e i bambini di Taranto, domande aperte
«Ma noi cosa proponiamo sulla questione Taranto?» Alla fine, grazie al giovane aclista Simone Romagnoli, la domanda è arrivata sul palco del palazzetto dello sport che ha ospitato i 4 giorni delle Settimane sociali dei cattolici italiani. Un appuntamento periodico cominciato nel 1907 grazie all’impegno dei pionieri della dottrina sociale cristiana, e in particolare all’economista Giuseppe Toniolo, con un approccio molto concreto: la prima edizione aveva, tra i temi di confronto, i contratti di lavoro, l’organizzazione sindacale e la cooperazione. Oltre alla pausa delle due guerre mondiali, e alla genericità degli argomenti affrontati durante il fascismo, l’interruzione più lunga si è avuta dal 1971 al 1990. Negli anni più accesi della contestazione, la settimana sociale del 1970 era riuscita a trattare una questione decisiva come «Strutture della società industrializzata e loro incidenza sulla condizione umana».
La Settimana sociale svoltasi a Taranto dal 21 al 24 ottobre 2021 non è stata un luogo di dibattito sul nodo del conflitto imposto tra tutela dell’ambiente e difesa del lavoro, con particolarmente riferimento al problema della gigantesca acciaieria sorta accanto alla città. Tale confronto potrà nascere da una possibile “agenda dopo Taranto”.
I numerosi partecipanti da tutta Italia hanno vissuto una sorta di “expo” dei risultati del percorso avviato in questi anni da esperienze promosse dalla Cei, come il Progetto Policoro per il lavoro dei giovani, e da quelle avviate nel campo educativo e dell’economia civile. Dalla scuola di formazione politica “Connessioni” promossa dal gesuita Francesco Occhetta alla rete di imprese e associazioni radunate dall’economista Leonardo Becchetti in Next (nuova economia per tutti). Dal festival dell’Economia civile di Firenze sostenuto da Federcasse, con Sergio Gatti, al movimento dell’Economia di Francesco auspicato dal papa ad Assisi e che vede la salesiana Alessandra Smerilli, economista chiamata a ricoprire cariche di rilievo presso la Santa Sede, tra i referenti di una realtà diffusa tra i giovani a livello internazionale. Cammini che si intrecciano con quello di associazioni e movimenti, tra i quali “Laudato sì”, nome nuovo del movimento cattolico per il clima.
Manifesto dell’Alleanza
L’attenzione particolare per i giovani, “merce rara” in ogni organizzazione, interroga in particolare la Chiesa alla ricerca di nuovi linguaggi e modalità che rendano attuale il suo messaggio. Un esempio di questa ricerca si può capire leggendo il testo del “manifesto dell’alleanza” redatto da un gruppo di giovani provenienti in gran parte dai contesti citati. Un manifesto che esprime alcuni concetti di carattere generale, da declinare nell’impegno personale e collettivo: «non è un documento statico, ma un esperimento politico di comunità che si costruisce giorno per giorno» come dicono gli estensori che si dichiarano «aperti a camminare con tutte le persone di buona volontà».
Dai frutti si conoscerà la bontà dell’albero e il cammino è sempre aperto a nuove sorprese. Percorrendo, ad esempio, le strade del quartiere Tamburi, martoriato dall’inquinamento industriale, è difficile togliersi dalla testa le parole di Annamaria Moschetti, rappresentate dei medici di Taranto, sul valore della vita di un bambino che «è superiore a tutto l’acciaio del mondo».
Una frase che nasce dall’aver visto i volti dei troppi morti per tumore e che è stata ripetuta dal vescovo di Taranto, Filippo Santoro, nel discorso conclusivo dell’incontro. Poche ore prima, il presule è anche andato al rione Salinella per piantare, assieme ai vertici della Cei, al sindaco Melucci e ai familiari delle vittime, 50 alberelli di platano in memoria delle «piccole vittime innocenti della contaminazione dell’aria e dell’acqua, il cui sacrificio diventa monito perché si assumano impegni politici e nuovi stili di vita». Un gesto simbolico che si compie, di solito, per ricordare una strage e quindi non ammette retorica o vane dichiarazioni di impegno futuro. Il sindaco, ad esempio, ha emesso un’ordinanza per chiudere l’area a caldo dell’acciaieria, cioè quella più inquinante, ma il consiglio di Stato, lo scorso giugno, gli ha dato torto. Una decisione attesa da parte del governo che è intenzionato a rilanciare un’attività industriale in perdita con migliaia di lavoratori in cassa integrazione.
Cosa vuol dire oggi che la vita di un bambino vale più dell’acciaio?
Quali sono i progetti in corso sull’enorme stabilimento siderurgico che è ormai rientrato, tramite Invitalia, sotto il controllo pubblico? Nei giorni delle settimane sociali è stata rimossa dalla palazzina direzionale dell’ex Ilva l’insegna della Arcelor Mittal in via di progressiva uscita dal capitale sociale di Acciaierie d’Italia. La multinazionale indiana non ha cercato il dialogo con la città e ha gestito con durezza il confrnto sindacale.
Dove si decide il futuro di Taranto?
I ministri Enrico Giovannini, trasporti e infrastrutture, e Andrea Orlando, sono intervenuti di persona durante l’incontro di Taranto ma l’interlocutore diretto sul futuro dello stabilimento, e cioè il ministro dello Sviluppo economico, il leghista Giancarlo Giorgetti, è stato impegnato, in questi giorni, in una missione negli Usa per incontrare alcuni autorevoli think tank nonché il National Economic Council e il National Security Council della Casa Bianca.
La visita oltre oceano ha riguardato, di sicuro, lo stato della nostra industria nel posizionamento delle alleanze geopolitiche internazionali. L’importanza strategica della produzione dell’acciaio e la sua distribuzione tra i diversi Paesi si gioca su scala mondiale, ma dovrebbe essere resa nota nelle linee di politica industriale nazionale per capire la qualità e la quantità di produzione annuale richiesta al nostro Paese, nonché la sua distribuzione tra gli stabilimenti italiani.
La pressione per mantenere, seppur in perdita, la produzione dell’acciaio a Taranto, nonostante tutti i problemi ambientali emersi e il contenzioso giudiziario ricorrente, si basa anche sulla necessità di evitare la dipendenza della nostra manifattura dalle forniture estere, cinese in particolare. I convegnisti di Taranto, tanto per avere un’idea, hanno ricevuto come gadget una borraccia di acciaio prodotta in Cina.
L’importanza della produzione di acciaio di qualità in Italia lo ha ribadito Stefano Franchi, direttore generale di Federmeccanica (Confindustria) intervenendo nella settimana sociale. È sempre in questi giorni di fine ottobre è arrivata la notizia dell’arrivo imminente dello studio di fattibilità per la decarbonizzazione dell’ex Ilva commissionato alla società NextChem, controllata da Maire Tecnimont, società della famiglia Di Amato.
Una proposta basata sull’uso del gas, applicabile anche alla raffineria dell’Eni di Taranto, e che trova uno dei massimi esperti nel settore siderurgico in Carlo Mapelli, professore al Politecnico di Milano e nuovo componente del consiglio di amministrazione di Acciaierie d’Italia.
Sembra, pertanto, che il programma per il futuro di Taranto sia già definito anche se manca una chiarezza sui tempi di attuazione di uno studio di fattibilità e sull’abbattimento reale dei livelli di inquinamento sul territorio.
Appaiono evidentemente fuori gioco le ipotesi di chiusura dell’acciaieria e la conversione economica dell’intera area avanzate prima dai Verdi con Angelo Bonelli e poi dai 5 Stelle che hanno raccolto un grande consenso nelle elezioni del 2018 salvo poi cambiare idea già con il governo Conte 1.
Un vero dialogo pubblico sul futuro di Taranto, cioè dell’Italia
Anche dalla società civile sono arrivate proposte concrete come quella articolata dell’associazione Giustizia per Taranto, basata in prima battuta sul lavoro necessario di bonifica di un’area di dimensioni enormi.
Proposte che si infrangono davanti ad un’assenza di un vero dibattito pubblico sulle linee di politica industriale che l’Italia intende seguire nel settore siderurgico come in quello della pesca, del sistema portuale e altri ambiti potenzialmente interessanti per questo territorio ricco di bellezze storiche e naturali.
Dare spazio a tale dialogo esigente sarebbe un test importante per i cattolici italiani come attività di servizio al bene comune proponibile dopo Taranto. Un obiettivo “generativo” possibile?
Nel 2021 il comitato scientifico delle settimane sociale ha evitato di fare altre proposte verso la politica italiana ed europea oltre quelle avanzate nel 2017. Il comitato ha, invece, indicato alcuni obiettivi rivolti alle comunità ecclesiali. Oltre all’adesione al manifesto dell’alleanza proposto dai giovani, ad ogni parrocchia, in particolare, è richiesto di avviare un progetto per diventare comunità energetica, capace di produzione di energia da fonti rinnovabili.
Applicando poi il principio del consumo responsabile, si richiede alle stesse realtà ecclesiali di compiere scelte etiche nel campo della finanza e dei consumi per sostenere attività carbon free nonché libere dallo sfruttamento lavorativo. Un passaggio che segna evidentemente il frutto della campagna condotta senza tregua dall’economista Becchetti a favore del cosiddetto “voto con il portafoglio”, già cardine del commercio equo e solidale.
Scelte etiche che possono sembrare scontate negli ambiti ecclesiali ma che tali evidentemente non sono ancora e si accompagnano al sostegno di “buone pratiche” cioè attività economiche che vanno nella direzione di un cambiamento possibile e che richiede di essere strutturale.
Restano, perciò, aperte, le domande maturate durante l’incontro: quale posizione prendiamo su Taranto e tutte le ferite aperte del nostro territorio e del mondo intero? Cosa comporta una radicale conversione ecologica? È vero che la vita di un bambino vale più di tutto l’acciaio del mondo?