Il labirinto degli spiriti
800 e passa pagine, un investimento di tempo non da poco. Prima di mettercisi bisogna rifletterci bene. Avevo già letto gli altri episodi della saga del Cimitero dei libri dimenticati, e sapevo che la prosa di Carlos Ruiz Zafón è pericolosa: cominci a sfogliarlo, leggi poche pagine e cadi nel vortice. Di vecchi libri, di franchismo e misteri esoterici, di autenticità di sentimenti e di umanità disastrata. Perché Zafón ha la capacità di raccontare la Storia raccontando storie.
Un vero scrittore che, come lui stesso confessa, lo è diventato senza nemmeno sapere il perché: «Scrivere è un mestiere che si impara, ma che nessuno può insegnare. Il giorno in cui capirà ciò che questo significa sarà il giorno in cui inizierà a imparare a essere uno scrittore». I personaggi tracciati dalla sua penna sono ritratti in bassorilievo che raccontano brani di umanità senza voler far la predica, personaggi che emergono negli ambienti più diversi, ma che hanno in comune l’aver toccato qualche miseria, l’avere capito che la vita è un enorme regalo che può sfuggire tra le dita in qualsiasi momento.
Un libro appassionante, in cui una detective bella, intelligentissima e sofferente in modo atroce per una ferita rimediata quand’era bambina nei bombardamenti della guerra civile, si ritrova con l’uomo che l’aveva salvata, un povero cristo squinternato e geniale, che conosce i bassifondi della città e sa essere fedele. In un impari conflitto con l’establishment franchista più cinico e barbaro.
Merita il Nobel, Carlos Ruis Zafón.