La voce dei mondiali
Per tutti è “la voce del calcio”. Sulle orme dell’impetuoso Carosio e del signorile Martellini, Bruno Pizzul è arrivato quasi per caso, facendo un concorso in Rai, lui che s’era laureato in giurisprudenza mentre giocava al pallone. Il suo timbro caldo, un po’ roco, il ricamo sobrio e fluido delle parole, da decenni ci sono familiari, anche in questi giorni che il satellite ne distorce un poco il commento che arriva dal Giappone. Che mondiale sarà per voi telecronisti? “Questo è un campionato itinerante: anche nelle prime fasi le squadre cambiano sempre città e noi con loro. E poi il fuso orario che ci impone di lavorare anche a notte fonda per riempire le trasmissioni serali in Italia”. Del resto, in tanti anni di servizio, chissà quante altre situazioni imprevedibili avrà vissuto ” “Un paio d’anni fa, a Mosca, ero in una cabina con i vetri graffiati e pieni di polvere che rendevano impossibile vedere la partita: feci un forellino in uno di questi vetri e da lì spiai tutto il tempo quello che succedeva sul campo di gioco. Ci sarebbero tanti episodi da raccontare, però di una cosa sono assolutamente certo: qualunque sia il disagio, non ti devi mai lamentare con i telespettatori, ciascuno dei quali pagherebbe qualsiasi cifra per essere al tuo posto, in una situazione ritenuta assolutamente invidiabile. Ci sono poi eventi che cerco di cancellare, dalla mia memoria di uomo prima ancora che di giornalista, come l’aver dovuto raccontare la tragedia dello stadio dell’Heysel, dove ci furono 39 morti per una partita di calcio”. Quale può essere il ruolo del telecronista di fronte ad episodi di violenza, dentro e fuori il campo? “È un compito molto delicato. Sicuramente il giudizio anche pesantemente negativo si impone, ma è preferibile cercare di mettere in luce la stupidità di quanto avviene. Il calcio è una cassa di risonanza incredibile: tifosi che tu definisci delinquenti, razzisti, maleducati, vedendo le loro gesta in tv, vengono quasi invogliati a ripeterle, per il desiderio di visibilità che c’è nel mondo attuale”. Cosa significa dunque, in concreto, oggi, commentare una partita? “Occorre riuscire a trasmettere la consapevolezza che è pur sempre una partita di calcio, non dimenticando che sei il tramite degli appassionati e quindi, anche tu che lo racconti, devi dimostrare in qualche modo il tuo coinvolgimento. Bisogna trovare il giusto equilibrio”. Ha un ricordo particolare? “Quando perdemmo la semifinale con l’Argentina ai calci di rigore. C’era gente disperata, che piangeva. Il regista mostrò immagini straordinarie del golfo di Napoli: la luna piena, i riflessi sul mare, il profilo del Vesuvio, le luci di Mergellina. Preso da uno slancio lirico, dissi che non diventeremo campioni del mondo, ma di fronte a questi spettacoli della natura comprendiamo che la vita vale comunque la pena di essere vissuta. Ma non tutti apprezzarono. Un segreto fondamentale rimane la spontaneità, il non prendersi troppo sul serio: il calcio rimane un gioco e come tale è assolutamente imprevedibile nei suoi sviluppi. Anche interessando tanta gente, resta pur sempre un aspetto di sublimazione dell’effimero: non sono cose che riguardano il destino dell’umanità”. Dalle radiocronache accalorate di Carosio, che doveva raccontare quello che nessuno poteva vedere, si è arrivati a telecamere indiscrete piazzate ovunque, a moviole insindacabili: come è cambiata la figura del telecronista? “Paradossalmente, proprio perché la partita viene rivisitata attraverso una esasperata offerta di particolari frammentati, risulta più difficile capire lo svolgimento del gioco nella sua interezza: oggi il cronista deve proprio aiutare il telespettatore a cogliere lo sviluppo della coralità della manovra”. In questo vi aiuta l’essere affiancati da un tecnico nel commento alla partita? “Sono stato abituato per tanti anni a fare la telecronaca da solo, anche con un pizzico di valutazione tecnica e non mi pare fondamentale questa loro presenza. Mi sembrerebbe più valido avere un giornalista in studio con degli esperti che presentano la partita e la commentano nell’intervallo e dopo il fischio finale”. Come giudica il proliferare delle trasmissioni di corredo alle partite? “Così come il calcio è diventato qualcosa di diverso da quello che era originariamente, con tutta una serie di esagerazioni e di contaminazioni, lo stesso si può dire del modo in cui viene trattato dai mass media. Solo durante lo svolgimento della partita il calcio è rimasto abbastanza simile a quello di una volta. Il prima e il dopo sono francamente troppo: troppi soldi, troppe polemiche, troppe moviole, troppe valutazioni, troppo di tutto”. Quale partita si augura di poter commentare in finale? “Naturalmente la partita con l’Italia, magari contro il Brasile, perché è sempre un bel vedere, ma anche Italia-Argentina, purché ci sia l’Italia e magari non si vada ai rigori”.