La voce ai lampedusani

«Noi portiamo sempre con noi l'odore delle pecore», ribadisce Maria 80 anni e instancabile nel suo lavoro di soccorso agli immigrati. «La sola presenza del papa è un indice puntato sulle nostre coscienze» dice invece don Carmelo responsabile dell'ufficio stampa. E anche i non credenti sono grati per la presenza di papa Francesco
Il papa all'uscita della parrocchia san Gerlando a Lampedusa

Roberto – il pescatore non credente

La sua barca non ha una scritta di benvenuto, perchè Roberto non è credente. «La visita del papa per me non ha un valore sentimentale, non è che ci sono emozioni particolari ma sento che è un avvenimento importante per la mia isola e questo è una gioia». Gli altri suoi colleghi sanno solo ripetere «è bellissimo», «èincredibile», mentre qualcuno timidamente vorrebbe dire qualcosa ma non ha il coraggio e le parole in italiano. Potrebbe solo dire al papa in dialetto la riconoscenza per la sua venuta e la speranza in un aiuto concreto per la propria terra.

Don Carmelo – responsabile dell'ufficio stampa

«Anche se il papa non avesse proferito parola, la sua sola presenza sarebbe stato un indice puntato alle periferie non solo geografiche ma esistenziali della nostra vita. I ventimila morti su questo scoglio non possono non interpellarci e il papa lo ha ribadito». Così si è espresso don Carmelo Petrone responsabile dell’ufficio stampa che si è trovato in appena una settimana a coordinare l’accredito di oltre 250 testate giornalistiche. «Il ritmo è stato serrato, perché preparare in una settimana la visita di un papa non è facile ma i lampedusani sono stati imbattibili: dai giovani che hanno dipinto con il mare la terrazza che ha fatto da presbiterio a Francesco Tuccio, il falegname artigiano che realizzato l’altare, il pastorale e il calice usando una barca recuperata da uno dei tanti approdi clandestini».

Maria – la pensionata

«È indescrivibile la gioia per la presenza del papa». Le lacrime scorrono da sole ma confessa che da più giorni non riesce ad asciugarle. Con la figlia è tra le protagoniste di quella gara di accoglienza che nel 2011 ha toccato l’apice ma continua ancora oggi anche se con ritmi meno serrati. I suoi racconti sono un fiume in piena. «Quest’inverno sono arrivati tanti bambini. Un giorno in chiesa davanti al tabernacolo ho incrociato una mamma con un bambino scalzo. Li ho portati a casa. Ho cominciato a fare qualche telefonata e sono cominciati ad arrivare vestiti e scarpe della giusta taglia mentre mia figlia si occupava della doccia per entrambi. Noi non facciamo niente di straordinario. Viviamo solo il vangelo». Me lo ripete costantemente che lei fa solo quello che Gesù ha detto di fare: Dar da mangiare, vestire gli ignudi, dare da bere.

«Lei non sa cosa si prova quando dei giovani bussano alla porta e ti dicono ho fame: uno strazio. Ogni mattina preparavo il caffè e la colazione per 30-40 di loro. Poi ne arrivavano altri e li vedevi in strada a dividersi un piccolo pezzo di pane. Noi siamo poveri ma non potevo non aiutarli». Tutti la ricolmavano di baci e abbracci e la chiamavano mamma. Zi Maria, come invece qui tutti la conoscono non ha mai avuto paura e si sorprende che io glielo chieda. «Sono nostri fratelli e a me non importa se sono musulmani, africani, arabi: erano ragazzi che cercavano una strada, un futuro e io chi ero per negarglielo».

Mi racconta anche della sua amica pensionata fermata all’uscita dal supermercato da due giovani che chiedevano un aiuto. Lei dà tre euro e si giustifica per la piccola entità dell’offerta, ma è pensionata e non ha più molto dopo un mese di marzo ed aprile trascorso a soccorrere tutti gli sbarcati. Dopo qualche metro si sente chiamare da questi stessi giovani: «Nonna ecco i tuoi tre euro. Una signora ci ha offerto la colazione e ora questi soldi non ci servono, servono a te». «Questo è l’odore delle pecore di cui parla il papa – ribadisce Maria – e noi l’abbiamo sempre addosso, ci accompagna sempre ed ecco perché Gesù è venuto oggi a benedirci nella persona di papa Francesco».

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