La vocazione di Roma
Cittadina romana nel 2000. Come operare più e meglio a favore della Città Eterna. Il pensiero della fondatrice dei Focolari
Cosa è per lei diventare cittadina onoraria di Roma?
«Ho ricevuto anche altre cittadinanze, ma questa è senz’altro quella che amo di più perché Roma è Roma. Non solo è ricca di storia, di arte, di cultura, ma soprattutto è come un prezioso scrigno che contiene il cuore della cattolicità. Questo penso sia un riconoscimento non tanto alla mia persona, quanto al carisma che Dio mi ha donato a beneficio di tutti, fondando il Movimento dei focolari. Lo considero un’occasione per dar gloria a Dio, memore del Vangelo che dice: “Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli”. Naturalmente questa circostanza impegna anche me e il movimento a fare ancora di più e meglio per Roma, per i romani».
Secondo lei, qual è la vocazione spirituale di questa città?
«Una volta Paolo VI ha detto: “Roma è l’unità”. Roma è fatta cioè per concorrere a realizzare nel mondo la fraternità universale. Per me Roma è indefinibile però, perché è reale e misteriosa insieme. Ricordo che quando nel primo dopoguerra sono arrivata qui con le mie compagne sono rimasta piuttosto impressionata dal freddo spirituale e dallo squallore in cui era ridotta. E ho visto “lontani i tempi nei quali i grandi santi e i grandi martiri illuminavano attorno a loro con l’eterna Luce persino le mura di questi monumenti che ancora s’ergono a testimoniare l’amore che univa i primi cristiani” (1). Però certamente Roma in questi decenni ha riacquistato piano piano il suo splendore, grazie agli sforzi spesi dalle autorità civili e religiose, e anche da tanti romani diventati protagonisti di questo rinnovamento».
(Rocca di Papa, 21 gennaio 2000. Da un’intervista telefonica per la trasmissione Jubilaeum di Radio Vaticana)
Cosa significa essere giovani a Roma nel 2000 e per il terzo millennio?
«Significa realizzare il nostro programma di rianimare Roma con l’amore, programma iscritto nel nome stesso della città, letto al rovescio: Roma, Amor. Immaginate se tutti qui a Roma, se questi turisti che vengono per il Giubileo fossero ardenti e pieni di vita come lo siete voi! Ma se siamo arrivati fin qui, perché non possiamo arrivare più in là? Diceva sant’Agostino: “Se questi e quelli, perché non io?”.
«Allora, come prima cosa, occorre diffondere dappertutto l’amore mediante quell’arte che insegna ad amare tutti, ad amare per primi, a farsi uno concretamente col prossimo, ad amare anche il nemico… Ma l’amore donato poi ritorna e diventa reciproco, e questo porta la presenza di Gesù in mezzo a noi, presenza che si alimenta attraverso l’amore a lui abbandonato e la Parola vissuta, in modo da essere Chiesa viva, Chiesa-comunione. Sarà allora Gesù in mezzo a suggerire cosa fare. Alle volte potrà essere un’azione caritativa o sociale, oppure la spinta ad aprire un dialogo con chi non è cattolico, non cristiano o non credente, a interessare qualche uomo politico al nostro ideale. Insomma, è con l’arte di amare che si arriva a metter fuoco in Roma».
(Palaghiaccio di Marino, 9 aprile 2000. Alla comunità romana dei Focolari)
1) Cf. “Resurrezione di Roma”, in Nuova Umanità XVII (1995) 6.