La vittoria scontata del modello K

Gli argentini domenica rinnovano il Parlamento ed eleggono il Capo di stato. Certa la rielezione della Kirchner
Sostenitori della Kirchner

Questa domenica gli argentini eleggeranno il Capo di stato e rinnoveranno parzialmente il Parlamento. Nessuno ha dubbi che Cristina Fernández de Kirchner sarà rieletta presidente. Anzi le speculazioni di questi giorni si concentrano su quale candidato occuperà il secondo posto, trasformandosi in questo modo nella principale forza dell’opposizione. Come mai un risultato così scontato?

Nelle ultime primarie celebrate ad agosto, la presidente ha ottenuto quasi il 50% dei voti, mentre i suoi principali oppositori hanno raccolto ciascuno intorno al 15%. Tutto lascia presagire che da agosto in poi Cristina abbia consolidato questo risultato che, già in quella data aveva superato le più rosee previsioni. Oggi i sondaggi le assegnano fino al 55% dei suffragi, con 35-40 punti di differenza sul secondo classificato che, a quanto pare, potrebbe essere il socialista Hermes Binner, con una percentuale di voti che oscillerebbe tra il 15 ed il 18%.

Ma la peculiare situazione politica argentina fa sì che questa domenica il Partito justicialista (più conosciuto come partito peronista), nelle sue differenti correnti, quella al governo e quella che fa parte dell’opposizione, raccoglierà circa il 70% dei voti. Si disputeranno il resto delle preferenze il Frente Amplio Progresista di Binner, una coalizione di centrosinistra, e la storica Unión Civica Radicale, oggi ridotta al minimo di visibilità. Un panorama di questo tipo farebbe pensare a una grande consistenza e compattezza politica del "modello K", come viene presentata la gestione, in perfetta continuità con quella iniziata nel 2003 dal marito di Cristina, Néstor Kirchner – scomparso esattamente un anno fa -, e successivamente portata avanti da sua moglie, eletta nel 2007.

 

Il tipo di patto politico-coniugale costruito da Néstor e Cristina obbliga a analizzare questo arco di tempo durante il quale l’Argentina é cambiata, anche se non nella sostanza. Vari milioni di posti di lavoro hanno relegato la disoccupazione tra il 7 e l’8 % (nel 2003 era il 20%). Il che non é poco. Il reddito delle famiglie medie é cresciuto sostanzialmente, mentre sono state varate misure importanti come l’assegno familiare, una somma del Governo per ogni figlio e questo ha avuto un impatto molto positivo nei settori con minori entrate. La povertà e l’indigenza sono scese, anche se lo zoccolo duro é difficile da ridurre, mantenendosi intorno al 20-25 % secondo calcoli non ufficiali. Non ufficiali perché l’Istituto di Statistica (INDEC) falsifica apertamente i dati e non é affidabile, obbedendo a una precisa strategia del governo. Basta pensare che secondo l’INDEC l’inflazione – bestia nera di questo governo – si aggira intorno al 9 o 10%, mentre i sindacati parlano di aumenti annuali tra il 25% ed il 35%. E lo stesso Governo aumenta gli
stipendi pubblici su valori simili.

La compagine della Kirchner presenta con orgoglio, e sarebbe disonesto non riconoscerglielo,l’aver riportato in Argentina più di 800 ricercatori che lavoravano all’estero che hanno trovato nel Paese condizioni favorevoli per dedicarsi alla ricerca scientifica. Ma il problema principale di questa gestione consiste nel gran numero di misure adottate, alcune con successo, altre no, senza un piano strategico di fondo che consenta di accompagnare la crescita economica di questi anni con lo sviluppo delle infrastrutture necessarie.

 

L’Argentina possiede circa 2 mila km di autostrade,su un territorio di 2,5 milioni di km quadrati, l’80% dei suoi prodotti viaggia su ruote dato che la rete ferroviaria é scarsa e vetusta. Mancano strade, ponti, porti di acque profonde. Tra l’altro una parte sostanziale delle entrate dello Stato viene dedicata a sostenere i prezzi interni, sopratutto dei combustibili e del trasporto pubblico. Il che a lungo termine si può trasformare in un boomerang insostenibile senza un piano di sviluppo adeguato delle reti di comunicazione. Non è nemmeno molto cambiata la struttura produttiva del Paese, sostanzialmente simile a quella di stampo neoliberista degli anni ’90.

 

Stigmatizzato l’inserimento del Paese nel mercato internazionale. In certo senso, si può dire che in quanto a politica internazionale l’Argentina oggi vive di rendita. E’ un socio chiave nella regione, e tutti le riconoscono tale ruolo, ma non appare chiara e prevedibile la sua politica, ne sembra che per il governo ciò sia essenziale. Regna una certa improvvisazione. Il vento di poppa dei prezzi internazionali, sopratutto la soia, hanno spinto il Paese verso una crescita macroeconomica a tassi inediti di anno in anno, ma senza aver sconfitto il male di fondo: la disuguaglianza. Il divario tra i più poveri ed i più abbienti é sempre maggiore, mentre il sistema tributario non é stato modificato.

Dunque tutto induce a pensare che l’attuale riconoscimento al governo K é senz’altro importante, ma non necessariamente stabile: una caduta sostanziale delle esportazioni agricole ed un periodo di difficoltà economiche potrebbero provocare cambiamenti repentini e profondi nell’opinione pubblica e nello scenario politico. Non a caso, il grande nemico di questo governo permane l’alta inflazione. In questi anni, la tensione tra maggioranza e minoranze (anche quelle interne al partito di governo) é stata permanente, con pochissima disponibilità all’ascolto ed alla negoziato, al punto da logorare il mondo politico notevolmente.

 

Lo stile K é spesso aggressivo e poco disposto al dialogo,con qualche conato autoritario. Quella del dialogo é una virtù essenziale per la politica, perché permette di garantire vie d’uscita in caso di crisi. Lo stile K invece suole preferire il tutto o niente. Viene allora da chiedersi se un riconoscimento così ampio potrà migliorare questo stile o se non lo potrà invece ottenere un risultato più consistente delle opposizioni. Il nuovo mandato di Cristina dovrà affrontare due sfide importanti: quella di inserire il Paese in una economia globalizzata, che non perdona facilmente coloro che non fanno tesoro delle opportunità favorevoli e dall’altra parte quella di dimostrare il profilo progressista del suo governo affrontando le grandi disuguaglianze che ancora feriscono i cittadini.  
   

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