La vittoria del no sui giornali esteri
A usare gli hashtag in Italiano su Twitter hanno imparato pure oltralpe: o almeno l’ha imparato Marine Le Pen, che – riferisce Le Monde – conclude il suo tweet «Gli italiani hanno sfiduciato l’Ue e Renzi. Bisogna ascoltare questa sete di libertà dei popoli e delle nazioni» con #referendumcostituzionale. Come ricorda il quotidiano francese, Hollande è stato tra i primi ad esprimere vicinanza a Matteo Renzi dopo il responso delle urne; e Le Monde ricorda altresì come, nonostante i timori per le conseguenze politiche e finanziarie del no, il commissario europeo agli affari economici Pierre Moscovici abbia dichiarato a France 2 che l’Italia «è un Paese solido con delle autorità solide, e ho piena fiducia nel fatto che possa far fronte alla situazione».
Sferzante lo spagnolo El Paìs, che nella sua analisi dall’eloquente titolo «Una peineta a Matteo Renzi» (letteralmente “una pettinata”: e chi tra i lettori è veneto sa bene che genere di passata per le armi aspettarsi quanto si sente dire dalla propria madre “te dae na petenada”) afferma che «la vanità e l’ambiguità del referendum hanno fatto fallire il referendum personale del primo ministro». Secondo Rubèn Amòn, gli italiani si sono trovati a votare senza nemmeno sapere davvero ciò per cui votavano, in una «contraddizione tra l’estasi democratica e l’arcano che le schede proponevano, la maggior critica che si possa avanzare al fallito progetto di Renzi». Così, dopo aver trasformato in un plebiscito personale un pur «sensato» tentativo di rimediare alle «schizofrenia bicamerale», Renzi, «arrivato al potere senza passare dalle urne, ha finito per essere divorato dalle stesse».
Amòn rifiuta di ricondurre l’esito referendario allo stesso voto antisistema di Trump e della Brexit ‒ «il fatto che Mario Monti e Massimo D’Alema abbiano fatto campagna per il no dimostra che si poteva votare no anche dal fronte istituzionale» ‒ quanto piuttosto a quello «stato di psicosi» che Cacciari ha chiamato «miniapocalisse», una suggestione collettiva «nel triangolo fatidico di Londra, Washington e Roma». «Siamo nell’età delle post verità – conclude – e per questa ragione la politica rischia di perdere la sua capacità civilizzatrice, specialmente quando si frivolizza con dei referendum rivolgendosi agli elettori perché risolvano l’enigma di un quesito inestricabile».
Pungente anche il britannico Guardian, secondo cui «il risultato del referendum potrebbe non portare da nessuna parte il Movimento 5 Stelle e la Lega Nord», in quanto «è chiaro che la maggior parte degli italiani non sosterrebbe né l’uno né l’altro alle elezioni»; e sottolinea come, per quanto il messaggio inviato dagli italiani sia chiaro, «decifrare quel messaggio non sarà facile, nonostante i toni celebrativi dell’estrema destra europea. L’Italia sta affrontando diverse crisi che tecnicamente non erano parte del quesito referendario […] e il fatto che la sconfitta di Renzi fosse data quasi per scontata dà l’idea dell’opposizione che si trovava ad affrontare». A fronte di questo, diventa possibile «una storica alleanza tra i due partiti tradizionali, Pd e Forza Italia, per fermare i partiti anti-establishment». Sempre a Londra il Financial Times, che tanto si era speso nel lanciare l’allarme per il rischio fallimento di otto banche italiane, titola «Le vittime del risultato referendario». Secondo il quotidiano il problema non sono le dimissioni di Renzi – tanto che viene espressa piena fiducia sia in Mattarella che in Piero Grasso nel gestire questa fase – quanto appunto le pressioni che l’instabilità finanziaria può esercitare sulle banche in difficoltà, mettendo a rischio tutti quei risparmiatori che vi hanno investito.
Anche in Russia l’attenzione al nostro referendum era alta, con una minuziosa copertura da parte dell’agenzia Ria Novosti e manifestazioni di esultanza sui social russi perché «ha vinto Putin» ‒ facendo riferimento al suo porsi come “antisistema”. In realtà i giornali sono abbastanza asciutti e fattuali nel riportare l’esito referendario – la Komsomol’skaja Pravda non lo mette nemmeno in home page, a differenza di altri come Utro e Kommersant.
Sul fronte tedesco, Der Spiegel titola «Punizione per il rottamatore»; una punizione che apre un «periodo tempestoso» per l’Italia e per l’Ue, e che è riconducibile, secondo il corrispondente da Roma Hans Schlamp, alle profonde divisioni che hanno lacerato il mondo politico italiano – soprattutto all’interno della stessa sinistra – e l’elettorato. E conclude che, se Grillo è stato definito un comico, il futuro del Paese non lo è affatto, data l’imprevedibilità delle conseguenze del responso referendario.
Oltreoceano, infine, il New York Timesriconduce il tutto all’ondata populista che ha travolto l’Europa: se le elezioni austriache sembrano aver fermato questa avanzata «è il rifiuto di Renzi che ha fatto rabbrividire l’Europa e il mondo. I leader mondiali guardavano al suo governo centrista come il barometro della forza dei partiti anti-establishment su entrambe le sponde dell’Atlantico […] Renzi non è riuscito a continuare a camminare sulla corda tra l’essere un “rottamatore” e un uomo del sistema come così bene aveva fatto durante la sua rapida ascesa al governo». E conclude riportando il commento di un elettore Pd che, pur sostenendo Renzi, si è trovato a votare no per questioni di merito della riforma: «Mi spiace che Renzi abbia legato il suo destino all’esito della riforma, perché non voglio che se ne vada. Ha rinvigorito la nostra posizione nell’Unione Europea, e un sì la rafforzerebbe ulteriormente. Ma la riforma non deve essere solo un bene per l’Europa, deve essere un bene per l’Italia».