La vita: un arcobaleno
Si dice che sia stato un astronomo persiano, un certo Qutb al-Din al-Shirazi, o forse un suo studente, a dare attorno al 1300 una prima spiegazione ragionevole del fenomeno dell’arcobaleno. Ma fu solo Isaac Newton, alcuni secoli dopo, a dimostrare che la luce bianca era composta da quella dei colori dell’iride che potevano essere separati in uno spettro completo con un prisma di vetro. Comunque, anche dopo quella descrizione scientifica, la gente continuò a rimanere affascinata e a provare un senso di fiduciosa speranza, ammirando quell’incanto adornare il cielo dopo un temporale, o formarsi sorprendentemente presso una cascata o una fontana, quando la luce del sole attraversa le gocce d’acqua rimaste sospese nell’aria. Allora, più della descrizione di Newton, piace ricordare i miti greci che vedevano nell’arcobaleno il sentiero tracciato dal messaggero Iris, per unire la terra alla dimora degli dèi; o le leggende irlandesi, che proprio sulla coda dell’arcobaleno ponevano il nascondiglio segreto del leprechaun, un folletto col suo pentolone colmo d’oro; o gli antichi racconti cinesi, per i quali l’arcobaleno era una spaccatura nel cielo sigillata dalla dea Nüwa con fantastiche pietre di sette colori. La Bibbia lo declama con tocchi sublimi: Osserva l’arcobaleno e benedici colui che l’ha fatto, è bellissimo nel suo splendore, canta il Siracide; Ezechiele paragona la gloria dell’Eterno all’arcobaleno nelle nubi in un giorno di pioggia; l’Apocalisse lo descrive cingere la fronte d’un angelo e avvolgere il trono stesso di Dio; la Genesi lo chiama l’arco di Dio, che il Signore dopo il diluvio pone sulle nubi in segno della sua alleanza con la Terra, promettendo a Noè che non avrebbe mai più inviato un tale cataclisma per distruggere la Terra. E anche a noi, quando lo vediamo circumnavigare il cielo, piace fantasticare e immergerci nel dolce mistero dei suoi sette colori. ROSSO. Il primo, il rosso. Il colore del sangue. Fiume sotterraneo che scorre silenzioso nelle vene, che pulsa ritmicamente nella caverna del cuore. È il colore della vita. Che ci lega, che fa che siamo qui: ad incontrarci a volte, a scontrarci altre. Rosso è il colore del sole che trafigge il cielo al tramonto, quando le montagne e il mare s’intingono nei suoi incanti. Pochi momenti gloriosi: preziosi come i rubini, rari come i manti regali di porpora. E anche fragili, che dicono quanto sia pienamente umano – infinitamente esaltante e terribilmente desolante – stare temporaneamente qui sulla terra, intrappolati in mille affanni, ma con gli occhi che guardano in su. E ancora, rosso è il colore del fuoco. Che è ardore, passione. Senza i suoi bruciori ogni nostro gesto è misera cosa. ARANCIO. Il colore abbagliante del sole assiso in cielo come re sul trono. Forza imponente e rassicurante. Impossibile non rimanerne affascinati. È il colore dell’entusiasmo, di chi vorrebbe salire su, in cima ad un campanile, per gridare a tutti l’amore che gli pulsa in cuore. È il colore delle arance mature, che si vogliono dare in cibo, e si sporgono dai rami, quasi offerte da braccia di madri. Ma anche, arancio è il colore delle foglie che d’autunno tingono i boschi di mille sfumature, preziose ed eleganti come vesti di donna. E ancora, arancio è il colore delle spezie, dei suk orientali, dei veli e dei cuscini in una tenda, che t’attende dopo un viaggio nel deserto. È il colore del contatto con gli altri, caldo di misericordia. GIALLO. Di notte, con gli occhi alzati all’insù. Incatenati al firmamento buio. Quasi a volerlo risucchiare dentro al petto. Per inspirare le stelle. Masse esondanti d’atomi e d’energia, che quaggiù brillano come piccole falene. Ma giallo è anche il colore delle messi sotto il tondo giallo del sole, che a giugno profumano i campi di pane infornato. Ma ancora, giallo è il colore dell’oro. Della preghiera, che fra gli atti umani è il più misterioso. Probabilmente il più prezioso. Bruciante di verità, come il succo d’un limone. Ed anche, giallo è il colore delle cose semplici: dei ranuncoli, dei girasoli, del polline dei fiori. Pochi hanno guardato questo colore come gli occhi di van Gogh. VERDE. Il colore delle cose vicine. Della gioia che scalda il cuore. Delle feste sui prati, del cibo preparato con cura e poi disposto su tovaglie a scacchi distese sull’erba. È il colore delle risate sincere degli amici, delle ballate che scivolano via dalle chitarre, del riposo appagante all’ombra delle chiome degli alberi che ondeggiano alla brezza. E ancora, verde è il colore dello star bene assieme. Quando rientri a casa e le pareti e la mobilia stessa emanano affetto, tepore. E assapori un piacere intimo, di profonda rassicurazione. Di focolare. E ancora, verde è il colore che concede a volte l’acqua del mare. Quando vuole stupire di smeraldo. Come si può non lasciarsi andare? AZZURRO. E poi, e poi l’azzurro… Colore delle cose che s’espandono, che riempiono lo spazio, che arrivano dovunque. Per congiungersi. È il colore del cielo, che vuole andare sempre più in su. Verso il Cielo. Del mare, che vuole straripare dall’orizzonte. Delle montagne, che s’estendono nella luce della lontananza. Della Terra, che tende a strabordare dai confini. Ma anche, azzurro è il colore del tripudio dell’anima, che sente sgorgare in sé la chiaroveggenza dell’ispirazione. Di quel momento esaltante, unico, quando l’anima sanguina di gioia nel bagliore della creazione artistica. Quando si sa che si è catturata una briciola d’eterno. Di bellezza. INDACO. È il colore delle polle d’acqua del paradiso. Delle cose rare, che si spingono un po’ più in là, oltre le barriere del turchese. È il colore delle sfumature – solo di alcune! – del cielo al tramonto. Strisce d’una preziosità inestimabile. Indaco è il colore di quel rarissimo moto dell’anima che è la contemplazione. Che porta al discernimento, a conoscere con certezza il confine che separa il bene dal male. E ancora, indaco è il colore che cerca chi s’avventura su un dissestato sentiero di montagna che scoraggia i viandanti. In modo che solamente pochi possano percorrerlo, per raggiungere quel lago alpino che non accetta d’essere guardato se non da occhi d’amante. VIOLETTO. A chiudere l’arcobaleno è il violetto, colore della tenerezza. Colore di chi si vuole dare totalmente in dono ad un altro. Senza ambiguità. Con devota dignità. Violetto è il colore che non ammette sotterfugi. Tagliente trasparenza. È il colore dell’amore composto, pensieroso forse, ma invincibilmente sicuro. E ancora, viola è il colore della tristezza sconfitta. Perché non di nero s’addobbano le chiese nei giorni di lutto per la morte di Gesù, ma di viola. Vittoria della vita. È lui l’ultimo, il violetto, sigillo dell’arcobaleno. Ma non solo nel cielo, sta l’arcobaleno. Tante persone in questi anni sono state testimoni d’un fatto straordinario. Coloro infatti che hanno avuto modo di conoscere l’Ideale dell’unità, hanno visto la luce di Dio illuminare tutta la loro esistenza, proprio come la luce bianca del sole attraversa un prisma irradiandosi nell’arcobaleno. Colorando così ogni aspetto della vita quotidiana, e facendo vedere le realtà del mondo – dalle problematiche economiche ai fili sottili e talora insidiosi della politica e della cultura – come una trama di colori armoniosi. Hanno imparato, queste persone, sulla scia della potente intuizione di Chiara Lubich, ad essere un po’ come dei prismi: che stanno lì per rendere più visibile il Dio invisibile, la trasparenza della luce. E tingere con i colori dell’arcobaleno la vita che ci fiorisce attorno.