La vita sportiva oltre la cardiomiopatia
Nel parlare di sport si parla spesso anche di inclusione, in particolare riferendosi a chi ha delle disabilità. “Disabilità” però, per un atleta che pratica a livello agonistico, è anche qualsiasi patologia che – pur non presentandosi magari in forma visibile – rende impossibile proseguire l’attività sportiva, almeno a quei livelli: è il caso, ad esempio, di coloro che si vedono diagnosticare alla visita medico sportiva una cardiomiopatia genetica – malattia che ha causato la prematura scomparsa di molti grandissimi atleti. Soprattutto nel caso di giovani atleti di grande potenziale, la cosa ha un gravissimo impatto a livello sia fisico che psicologico: si tratta non solo di abbandonare l’attività sportiva, ma anche tanti sogni per il futuro.
Per questo l’Unità Operativa Complessa di Medicina dello Sport dell’Ulss 2 di Treviso, diretta dal dott. Patrizio Sarto, ha realizzato il progetto “Il secondo tempo di Julian Ross”: lo scopo è appunto quello di accompagnare questi giovani in un vero e proprio percorso di inclusione, che consenta loro da un lato di tutelare la salute, e dall’altro di non dover necessariamente appendere l’attrezzatura sportiva al chiodo. L’iniziativa è stata presentata in occasione della Giornata Mondiale dello Sport lo scorso 6 aprile. «Abbiamo dato al progetto il nome di un celebre personaggio del manga giapponese Capitan Tsubasa (in Italia più conosciuto come Holly e Benji) – ha spiegato il dott. Sarto -. Anche Julian Ross, come molti ragazzi che vediamo, si trova a un certo punto a vivere il conflitto tra la diagnosi di una malattia cardiaca e la voglia di continuare a giocare a calcio. È a queste situazioni che il nostro progetto vuole dare una risposta, garantendo la presa in carico di chi, da un giorno all’altro, da atleta si ritrova a essere un paziente affetto da cardiomiopatia su base genetica o da cardiopatia congenita. Alla diagnosi segue un percorso approfondito, che molto spesso vede coinvolti anche i genitori. La finalità è quella di “riattivare” l’atleta-paziente in piena autonomia o in una delle Palestre della Salute del territorio, attraverso un preciso programma di allenamento personalizzato».
Ad oggi sono più di 40 gli atleti-pazienti arruolati nel programma, e più di 60 i genitori che è stato necessario sottoporre a screening (dato che si tratta di malattie genetiche). Dopo la diagnosi, ciascuno viene accompagnato non solo sotto il profilo strettamente medico, ma anche nell’individuare l’attività fisica più adatta a sé, definendo un programma di allenamento ad hoc che viene iniziato direttamente nella palestra della Medicina dello Sport del Dipartimento di Prevenzione. Non solo: è disponibile anche un servizio di sostegno psicologico per l’intera famiglia, nonché un corso di BLS (Basic Life Support, supporto vitale di base) volto a dare le competenze per fronteggiare eventuali situazioni di emergenza come l’arresto cardiaco. Si tratta dunque di mettere insieme diverse professionalità, così da garantire un corretto reinserimento nel mondo sportivo di questi giovani, evitando quell’abbandono in cui si troverebbero se alla diagnosi seguisse semplicemente la preclusione dell’attività agonistica. «A questo punto può cominciare il “secondo tempo” – ha concluso il dott. Sarto -: cuori in movimento, ancora in campo, comunque».