La vita è una recita nel Grande Teatro del Mondo

Il dramma filosofico-teologico di Calderón de la Barca, in una creazione site-specific itinerante dentro il Complesso Monumentale della Pilotta di Parma

Tra vertigini di luce e ombra, tocca il cuore e la mente. Suscita un turbinio di emozioni. E di visioni. Che aprono lo sguardo e sollecitano risonanze di memorie e di parole, di luoghi e di storie, di passato e presente. Ci avvolge e coinvolge, spazialmente e interiormente, come un grande abbraccio che tutti e tutto contiene. Siamo nel Grande Teatro del Mondo concepito da Maria Federica Maestri e Francesco Pititto di Lenz Fondazione, che, dell’opera di Pedro Calderón de la Barca, ne hanno tratto un allestimento site-specific itinerante dentro quel magnifico Teatro Farnese di Parma – nel Complesso Monumentale della Pilotta per il Festival Internazionale di Performing Arts “Natura Dèi teatri” di Lenz Fondazione – realizzato da Giulio Camillo con l’idea di contenere in un unico e incomparabile spazio tutta la sapienza e la condizione umana (siamo a metà del ‘500 e il suo Teatro della memoria è un tentativo di ritrovare l’unità e la totalità del mondo nella mente dell’uomo in virtù della sua natura di figlio di Dio). Quale testo allora più appropriato di questo di Calderón, esempio pregevole – siamo nel 1641 – di “teatro nel teatro”, anticipazione sorprendente del concetto di “metateatro”? Sul palcoscenico del mondo ciascuno recita la propria parte nella commedia umana, fino alla morte che tutti livella, ricchi e poveri, bambini e vecchi, donne e uomini.

Il mondo è un teatro dove ogni essere umano rappresenta una parte: finita la rappresentazione, l’autore, cioè Dio, giudica il comportamento dell’attore. È uno dei più perfetti e significativi “misteri allegorici” del drammaturgo barocco nella cui poesia si fondono il pessimismo stoico e la speranza cristiana. Ed è una dirompente, e tenera, umanità a emergere, in tutta la sua forza e verità nei corpi dei dodici performer di Lenz, specie in quelli degli “attori sensibili” che costituiscono da anni la necessità artistica dell’ensemble parmense, e attraverso i quali i versi di Calderón si fanno più penetranti in autenticità e in sonorità di recitazione. Voci da cui affiorano brandelli di sofferta vita vera che si confondono in un tutt’uno con i versi poetici dello scrittore.

Si parte, noi spettatori itineranti, dall’imponente Scalone Imperiale dove, proiettato sull’enorme portone all’ingresso della Pilotta, compare il Mondo, figura umana distesa in verticale e fremente nel gesto accelerato e continuo del segno della croce. Comparirà in carne ed ossa aprendo la porta, richiamato dall’Autore divino che, in un dialogo di riconoscimento e obbedienza, gli ordinerà di rappresentare la grande commedia della Vita e della Morte. L’ingresso per l’entrata in scena degli attori saranno due porte: una per la culla e l’altra per la tomba.

Spostandoci all’interno del Salone della Galleria Nazionale – dominata, sul fondo della parete, dalla statua della sovrana Maria Luigia d’Asburgo rappresentata dal Canova nelle vesti di Concordia, e sulla quale un’enorme proiezione ritrae in movimento la figura del Mondo in rossa veste –, a distribuire le parti e il copione sarà lo stesso Autore convocando gli interpreti che troviamo seduti dentro delle alte nasse aperte disposte in fila lungo il corridoio. A turno, attraversando la sala e ritornando al loro posto, riceveranno i ruoli assegnati: il Contadino, il Povero, il Re, il Ricco, la Bellezza, la Discrezione e il Bambino. Mentre i primi due accettano il loro personaggio malvolentieri, il Bambino si compiace della facilità della sua parte, poiché dovrà morire ancor prima di nascere. Tutti vorrebbero provare la commedia che sono stati chiamati ad interpretare, ma il Mondo ingiunge loro di recitare improvvisando.

Da una porta del Salone neoclassico si entra all’interno di quel capolavoro di architettura lignea che è il Teatro Farnese, la cui scenografia lascia senza fiato. Qui la prima immagine è una distesa di cavallucci a dondolo disseminati nella platea e, sul palcoscenico sovrastante, tre grandi schermi riproducenti il volto trino dell’Autore la cui presenza reale domina in alto, in un maestoso controcampo, dalla parte opposta della scena, seduto in trono nella loggia centrale illuminata. Distribuiti lungo la parete semicircolare dove sostano gli spettatori, 4 clavicembalisti e, in alcuni momenti un cantore, segnano con le loro note la scansione drammaturgica della rappresentazione. Dalla culla esce per prima la Discrezione, magnificando il Signore; la Bellezza che la segue, al contrario esalta se stessa e le meraviglie della natura. È poi il turno del ricco, gaudente ed egoista; egli è seguito dal Contadino che lavora alacremente, lamentandosi tuttavia per la propria sorte ingrata. Quindi il re, vanaglorioso e assetato di potere, allontana sprezzante il povero che gli tende la mano per un tozzo di pane, ma poi sorregge la Discrezione quando essa rischia di cadere.

Conclusa la rappresentazione, una voce chiama i personaggi fuori scena: tutti si rammaricano di dover morire, tranne il Povero e la Discrezione. In una sorta di “danza della morte” di stampo medievale, gli attori si presentano dunque al cospetto dell’Autore per riceverne il premio o il castigo per la loro esibizione: «…dalla mia compagnia se ne dovrà andare chi non ha recitato bene, chi non ha capito e non ha avuto memoria del bene che ho sempre dato a tutti con tanta misericordia». Egli invita alla sua mensa i primi due, destina al Purgatorio il Re, il Contadino e la Bellezza, lascia nel limbo il bambino e precipita il Ricco nelle tenebre. Il Mondo, che tutto ha osservato, proclama che la vita altro non è che una recita. Ed è sorprendente Barbara Voghera, attrice con sindrome di Down e storica interprete delle creazioni di Lenz, la cui presenza scenica e attoriale si carica ogni volta di nuove capacità espressive, ora arricchite di un’articolata gestualità delle mani che accompagnano la sua interpretazione del Mondo.

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