La vita per annunciare il Vangelo
Gesù è seduto a mensa con i suoi amici. È l’ultima cena prima di partire da questo mondo, il momento più solenne per consegnare l’ultima volontà, quasi un testamento: Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Sarà questa, lungo i secoli, la caratteristica dei discepoli di Gesù che consentirà di identificarli: da questo tutti li riconosceranno! Fu così fin dall’inizio. La prima comunità dei credenti, a Gerusalemme, godeva la stima e la simpatia di tutto il popolo proprio per la sua unità, al punto che ogni giorno nuove persone si univano ad essa. Anche pochi anni più tardi Tertulliano, uno dei primi scrittori cristiani, riportava quanto si andava dicendo dei cristiani: Vedi come si amano tra loro, e come sono pronti a morire l’uno per l’altro. Era l’avverarsi delle parole di Gesù: Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri. L’amore reciproco è dunque l’abito dei cristiani comuni che, vecchi e giovani, uomini e donne, sposati o meno, adulti e bambini, ammalati o sani possono indossare per gridare dovunque e sempre, con la propria vita, Colui nel quale credono, Colui che vogliono amare. Nell’unità che nasce dall’amore reciproco tra i discepoli di Gesù quasi si rispecchia e si rende visibile quel Dio che egli ha rivelato come Amore: la Chiesa è icona della Trinità. È questa, oggi più che mai, la via per annunciare il Vangelo. Una società spesso frastornata dalle troppe parole cerca testimoni prima che maestri, vuole modelli prima che parole. Essa è più facilmente resa partecipe se vede un Vangelo fatto vita, capace di creare rapporti nuovi, improntati dalla fraternità e dall’amore. Come vivere questa Parola di vita? Tenendo vivo tra noi l’amore reciproco e formando ovunque cellule vive. Se in una città – ha scritto Chiara Lubich -, nei punti più disparati, s’accendesse il fuoco che Gesù ha portato sulla terra e questo fuoco resistesse per la buona volontà degli abitanti al gelo del mondo, avremmo fra non molto accesa la città d’amor di Dio. Il fuoco che Gesù ha portato sulla terra è lui stesso, è carità: quell’amore che non solo lega l’anima a Dio, ma le anime fra loro. (…) Due o più anime fuse nel nome di Cristo, che non solo non hanno timore o vergogna di dichiararsi reciprocamente ed esplicitamente il loro desiderio d’amor di Dio, ma che fanno dell’unità fra loro in Cristo il loro Ideale, sono una potenza divina nel mondo. E in ogni città queste anime possono sorgere nelle famiglie: babbo e mamma, figlio e padre, nuora e suocera; possono trovarsi nelle parrocchie, nelle associazioni, nelle società umane, nelle scuole, negli uffici, dovunque. Non è necessario che siano già sante, perché Gesù l’avrebbe detto; basta che siano unite nel nome di Cristo e non vengano mai meno a questa unità. Naturalmente sono destinate a restare per poco tempo due o tre, perché la carità è diffusiva per sé stessa ed aumenta con proporzioni immani. Ogni piccola cellula, accesa da Dio in qualsiasi punto della terra, dilagherà poi necessariamente e la Provvidenza distribuirà queste fiamme, queste anime- fiamma, dove crederà, affinché il mondo sia in più luoghi ristorato al calore dell’amor di Dio e risperi.