La vita di un siriano vale quella di un italiano

Guerra o non guerra? La lettera di un giovane collaboratore ci costringe a guardare oltre la drammatica contingenza. La cattiva coscienza dei "grandi" del mondo. È la vicinanza tra i popoli che dobbiamo riuscire a manifestare
Conflitto siriano

«Ho letto con attenzione l’articolo del direttore sulla Siria e condivido la linea editoriale. Tuttavia questi sono giorni per me ricchi di riflessioni e di dibattiti anche con altri giovani amici. È appena passato il 50° del famoso discorso del rev. Martin Luther King – I have a dream, ho un sogno – e siamo alla vigilia di una nuova e con ogni probabilità devastante guerra. Cosa è rimasto di quel messaggio? Da quale pulpito parlerà il premio Nobel per la pace Obama? Lui cinquant'anni dopo Luther King, parole di pace e democrazia con le navi schierate al fronte…

«I discorsi veri però sono altri. Quando scoppiò la Primavera araba si risvegliò anche la Siria. Infatti sono due anni e mezzo che si uccidono a vicenda. È successo in Tunisia e si è fatto un gran clamore perché per alcuni di noi è più facile andare a Tunisi che a Milano. Poi l'Egitto, poi ancora la Libia. Mezza Europa ha fatto affari con Gheddafi, compreso il nostro ex presidente del Consiglio (che gli baciò la mano), salvo poi “prestare” il suolo per far decollare i caccia diretti a Tripoli e dintorni. Il fatto è che in Libia la comunità internazionale se ne è, mi si passi il termine, “sbattuta” dell'Onu. L'occasione era giusta per spartirsi il petrolio, ci si è messi d'accordo tra Stati e via. I siriani, poveri cani, non hanno nulla. Come sarebbe andata a finire se avessero avuto petrolio, uranio, silicio, diamanti, etc.?

«Per me un siriano vale quanto un italiano, se non anche più di certi italiani. Il mondo aveva sotto gli occhi la situazione da tempo e aveva tutto il tempo per avviare programmi di assistenza economica e civile. I diplomatici potevano pensarci più di qualche anno fa a ricercare una pacifica transizione. La mia impressione è che ancora una volta il mondo è rimasto a guardare e a pagare le conseguenze sono sempre e solo i civili.

«La guerra è un affare per pochi e un delitto per molti. A rispondere delle conseguenze dovrebbero essere gli ignoranti che sono rimasti a guardare. Il fatto è che a mio avviso non si possono più ricostruire certe case dalle macerie. La Siria è un vespaio, ogni tentativo diplomatico è inutile, come lo è il tentativo bellico. Secondo me o li lasciamo lì e interviene uno Stato arabo con personalità forte a far da mediatore (condizione che per altro non c'è) o si interviene mettendo fine una volta per tutte.

«La questione è che l'ignoranza e gli affari prevalgono sempre di più sul rispetto e sui diritti. Così il sogno di Luther King che poi era anche quello di Chiara diventa utopia. Anche se "non si può vivere senza utopia", come scrisse Paco Ignacio Taibo II».

Giovanni Bettini

 

Caro Giovanni, la tua lettera mette il dito sulla piaga della cattiva coscienza dei cosiddetti “grandi” di questo mondo. Nelle ultime ore sembra che alcuni episodi stiano allontanando lo spettro di una guerra immediata: nessuno si aspettava che il Parlamento britannico mettesse in minoranza il premier Cameron! E lo stesso Obama pare attanagliato da dubbi amletici di non facile soluzione: fare come il suo predecessore o cambiare registro? Mentre Germania, Italia e altri abituali partner Usa chiedono come condizione per l’intervento una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, assolutamente improbabile.

Ma non c’è comunque da stare tranquilli. La tua frase «per me un siriano vale quanto un italiano» mi sembra centrale. Non possiamo infatti stare in silenzio, tacitare la nostra coscienza fintantoché un solo siriano sarà in pericolo di vita per quest’assurda guerra. In particolare sono le diplomazie che dovrebbero prendere in mano la situazione convocando quella benedetta “Ginevra 2” che doveva essere un’assemblea risolutiva di pace. Finora non si è nemmeno riusciti a mettersi attorno ad un tavolo… Come sostiene con grande lucidità il Movimento politico per l’unità, «sarebbe incoerente e controproducente un intervento non accompagnato da una strategia di riconciliazione nazionale, di giustizia, di transizione e di ricostruzione politico-istituzionale, concordata con tutti gli attori coinvolti sia interni che internazionali». È in questa direzione che bisogna continuare a lavorare.

Senza dimenticare che anche ognuno di noi può fare qualcosa: collaborare con qualche Ong, telefonare a un amico siriano per dichiarargli la propria vicinanza, inviare un pacco viveri alla Caritas, organizzare catene di solidarietà su Facebook, pregare soprattutto… È la vicinanza dei nostri popoli al popolo siriano che bisogna manifestare, e quella possiamo manifestarla anche noi.

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