La vita delle organizzazioni a movente ideale
Quando a fine 2014 nacque l’idea di proporre nelle pagine che «Avvenire» attribuisce alle “idee” una serie di articoli sulla grande crisi, quella serie che poi avremmo deciso di dedicare a «La grande transizione», credevo di avere piuttosto chiaro che cosa c’era nella testa e nell’animo di Luigino Bruni. Ed ero ovviamente certo di aver capito tutto l’essenziale di che cosa ne sarebbe venuto fuori: quale itinerario dentro il nostro tempo e il nostro operare insieme, quale messaggio in chiave di umanizzazione dell’economia, quale scomoda presa d’atto di una realtà da (ri)convertire, cioè – pensate un po’ – da rivoluzionare per amore e d’amore. Mai sottovalutare, però, le avventure dello spirito, anche quando procedono appoggiate al bastone della matita o persino mentre si avviano lungo i sentieri, solo apparentemente piani, della scrittura digitale.
E mai pretendere di sapere dove condurranno i pensieri condivisi da un economista filosofo profondo e generoso come l’autore delle pagine che seguono questa breve nota.
C’è voluto davvero poco perché mi rendessi conto, passo dopo passo, che l’intuizione che mi aveva portato a discutere con Bruni l’idea di sviluppare questi suoi nuovi testi sotto a un marchio che richiamasse la consapevolezza del nostro stare dentro una dura eppure promettente fase di passaggio – “la grande transizione”, appunto – conteneva ben più di ciò che avevo intravisto e previsto. Conteneva più dell’attesa, e preziosa, ricognizione sulle condizioni di partenza del nostro affanno sociale ed economico. Più che una serie di indicazioni utili per attraversare insieme, in direzione nuova, il guado di un’economia infettata dal virus dell’impazienza rapace e stremata dallo sciupìo di umanità e di concrete vite di uomini e donne che in ogni giorno – proprio in ogni giorno, e in ogni dove – ne è conseguenza. Bruni aveva ben chiaro dove l’avrebbe condotto ragionare, al confine tra umano e disumano e purtroppo anche oltre, di organizzazioni complesse a movente (prevalentemente) materiale.
Sapeva perfettamente che scrivere di esse, cioè delle organizzazioni della “produzione” e del “mercato” e, dunque, della creatività, delle relazioni e del lavoro, l’avrebbe portato a concentrarsi anche sulle organizzazioni a movente ideale e su altri movimenti dello spirito umano. Ovvero di tutte quelle realtà – lo dico un po’ a modo mio e molto a modo suo – che potremmo chiamare della “elevazione” e della “donazione” e, dunque, dell’incontro, della condivisione e della cura. Vocazioni economiche e carismi religiosi – si potrebbe ancora dire, sintetizzando un po’ bruscamente, ma senza tradirne la sostanza, la provocante riflessione dell’autore – posti davanti alla stessa sfida: rinnovarsi senza perdere radici e anima.
Io tutto questo, da lettore e da complice, l’ho scoperto strada facendo. Proprio come tanta altra gente d’Avvenire (mi piace chiamare così chi condivide e usa il frutto del nostro quotidiano lavoro di carta). Ma col privilegio della prima lettura di quei testi e della loro titolazione-interpretazione. Una condizione di cui gode (e a volte patisce, ma non è questo il caso) chi confeziona un giornale. E così, strada facendo, mi sono lasciato ancora una volta e felicemente coinvolgere dal ritmo del cammino di Luigino Bruni e dall’attualità incalzante dell’analisi e della prospettiva che sa proporre.
L’essenziale di questo lavoro – una meditata selezione di articoli pubblicati nelle prime settimane del 2015 integrata da un testo di poco precedente, tratto dalla serie «Le levatrici d’Egitto», e da un altro di poco successivo, tratto dalla serie «Rigenerazioni» – è contenuto in questo volumetto. O, meglio, lo contiene e lo accende.
Sono grato a Bruni, e lui lo sa. Leggere e rileggere ciò che scrive mi ha reso più chiaro l’appello a una vasta e necessaria ricostruzione che ci interpella, ma anche che ogni vero passo avanti nelle cose degli uomini e delle donne, nelle imprese delle mani come in quelle dello spirito, dipende dalla capacità di chi è chiamato ad aprire la strada (o di non lasciarla chiudere) di compiere, al tempo giusto, un passo di lato e di sgombrare, così, provvidenzialmente, il varco e gli occhi utili a percorrere “nuove terre”. Questo mi sono prefisso di fare. Questo faccio. E il mio passo di lato, ora, è un semplice augurio: buona lettura.
Marco Tarquinio
La distruzione creatrice, come affrontare le crisi nelle organizzazioni a movente ideale, di Luigino Bruni (Città Nuova, 2015), € 12,00, pp.100