La vita in comune secondo Vittorio Pelligra
Gli esseri umani sono la specie che più di altre ha sviluppato la capacità di cooperare al di fuori della cerchia parentale: per questo siamo “ipersociali”. Ma i comportamenti cooperativi, come stiamo tragicamente sperimentando in questi tempi di guerra, sono molto fragili.
Una fragilità che si manifesta non solo nelle grandi sfide, dalla pandemia ai cambiamenti climatici, ma anche nelle nostre vite quotidiane, nelle quali per quanto motivati da nobili ideali, rischiamo di naufragare nella relazione con gli altri.
Per questo la comprensione di come funziona la cooperazione umana risulta essenziale. Ed è quindi prezioso il viaggio di esplorazione che Vittorio Pelligra ci propone nel suo Ipersociali – Le radici, le forme e le trappole della vita in comune (Ecra 2022). L’autore, professore di politica economica presso l’Università statale di Cagliari, ha in preparazione anche un saggio di prossima uscita con Città Nuova dedicato alla “logica occulta della comunicazione pubblica”.
Il percorso affronta il tema della cooperazione con il bagaglio scientifico di diverse discipline, collegate dall’autore ad esperimenti, storie e fatti di cronaca che ben esemplificano il nostro oscillare fra comportamenti competitivi e comportamenti cooperativi, fra l’Homo homini lupus (uomo lupo per l’altro uomo) di Hobbes, e l’Homo homini natura amicus (uomo amico per natura dell’altro) di Genovesi.
La cooperazione è una relazione interdipendente, poiché l’esito dipende dal comportamento di tutti gli attori in gioco: ci sono ostacoli per coordinarci, ognuno dispone di informazioni differenti e spesso incomplete, per non dire delle diverse motivazioni che spingono ad agire e che si trovano in conflitto anche dentro noi stessi.
La cooperazione è anche un gioco di norme e aspettative, basti pensare alla capacità tacita di coordinarci nel traffico quotidiano. Ma la cooperazione dipende anche da come descriviamo la realtà, da quali occhiali usiamo per considerarla. È molto interessante uno degli esperimenti descritti nel libro, dove il comportamento dei giocatori, in uno stesso gioco, cambia a seconda che si chiami “gioco di comunità” o “gioco di Wall Street”.
Perché, Pigmalione funziona sempre, e le nostre scelte comportamentali dipendono sia da ciò che pensiamo di noi stessi e degli altri, ma anche da ciò che pensiamo gli altri pensino di noi.
In quanto “specie culturale”, gli uomini e le donne sono soggetti ad uno sviluppo evolutivo in cui la genetica influenza la cultura che, modificando l’ambiente circostante, lascia tracce nella storia genetica. In questo senso colpisce, ed è una delle tante chicche del lavoro di Pelligra, come le popolazioni del Nord Europa tendano a punire i comportamenti opportunistici, mentre quelle del Sud Europa siano più inclini a punire comportamenti considerati eccessivamente cooperativi. Questo può contribuire a spiegare il “cattivismo” che riscontriamo in alcuni organi di stampa italiani, ma anche fra la gente comune, per cui la solidarietà è fonte di sospetto.
Sono davvero tanti i temi affrontati nel libro di Pelligra, ricco e denso ma con una sufficiente dose di leggerezza che lo rende una lettura piacevole oltre che utile. Il viaggio fra le radici, le forme e le trappole, aumentando la nostra consapevolezza sulla cooperazione, ci può rendere più capaci di cooperare.
Tuttavia il messaggio forse più interessante di questo lavoro riguarda le istituzioni: siamo esseri plurali e complessi che portano in dote diverse inclinazioni, frutto di una storia personale e collettiva. La sfida che Pelligra lancia alla fine del suo lavoro dovrebbe essere l’agenda politica di chi governa: «sviluppare istituzioni capaci di far venire fuori la parte migliore di ogni essere umano». Perché quando la cooperazione ha successo, ha successo anche la nostra vita.