La vita a passo di donna
Contro società patriarcale, violenza e sottosviluppo, per la dignità femminile e il coinvolgimento degli uomini. La testimonianza sul campo di Suor Bernadette Sangma.
Alcuni incontri sono come passeggiate lungomare nelle mattine estive, quando il frangersi delle onde trova significato nella luce del sole che via via permea tutto, ogni sasso e conchiglia, ed hai la certezza che puoi fare tutta la tua parte perché la giornata sia migliore di quella passata.
Così è stato per me incontrare Bernadette, suora indiana della famiglia di Santa Maria Ausiliatrice, laurea in Pedagogia e dottorato in Metodologia dell’educazione, donna minuta ed energica, con grandi occhi espressivi e ridenti, che con radicato entusiasmo racconta l’esperienza più che decennale vissuta con le consorelle per l’emancipazione delle donne in India orientale.
Parlare della condizione femminile oggi è difficile per la complessità della realtà e le enormi differenze tra paesi ricchi e poveri, culture, fedi. Una cosa in comune però sembra esserci, la sofferenza globale delle donne: una su tre è stata picchiata, costretta al sesso o altro abuso. 500 mila in Europa le vittime della tratta, destinate alla prostituzione, 700 mila negli USA i casi di violenza domestica; ogni 23 secondi in Sudafrica c’è una violenza sessuale, fascia d’età più colpita 12-17 anni. Le cifre sono tratte dal bel libro La vita a passo di donna (Emi) e dal rapporto 2008 di Amnesty international.
L’esperienza di suor Bernadette e delle sue consorelle è una risposta concreta allo scandalo di queste cifre: progetti realizzati in ottanta nazioni, in Africa, Europa, America latina e in particolare in India, dove sono state raggiunte 70 mila donne.
L’India con la vivace e cruda bellezza dei suoi colori, dei suoi paesaggi, col fascino delle spiritualità, ma anche l’India del sottosviluppo e della povertà di una società spesso rigidamente patriarcale e staticamente gerarchica. In particolare nel Nord, dove le enormi distese delle piantagioni del tè rappresentano ricchezza per pochi e lavoro sottopagato per molti, spesso donne: le “tribù del tè”.
A loro si rivolge l’azione delle suore dell’Ausiliatrice: «Il livello di sfruttamento delle popolazioni è forte – spiega Suor Bernadette –, per cui solo con la crescita dell’autostima e il potenziamento culturale, a partire da alfabetizzazione e formazione, le donne iniziano a comprendere che c’è un’alternativa al lavoro nei giardini del tè per un dollaro al giorno. Una volta sensibilizzate sull’importanza di far arrivare la loro voce nei meccanismi politici locali, alcune si sono candidate alle elezioni e le hanno vinte.
«Questi obiettivi – prosegue – si raggiungono attraverso la formazione di gruppi di auto-aiuto, composti da donne che potranno poi divenire destinatarie di un prestito per avviare attività economiche. Una volta restituito, il prestito sarà impiegato per mettere in moto altre esperienze. Un capitale impegnato quindi non per accumulo di profitto, ma per una crescita esponenziale di opportunità di lavoro autonomo ed emancipazione».
Sembra tutto semplice, ma numerose sono le sfide che questa esperienza si trova ad affrontare, soprattutto di tipo culturale: «Per superare le discriminazioni radicate nella cultura è indispensabile coinvolgere gli uomini – continua suor Sagma –. Senza reciprocità tra uomo e donna la situazione può aggravarsi anziché migliorare, come si può constatare dal massiccio aumento della violenza verso le donne, percepite come una minaccia dagli uomini. Bisogna spiegare che la lotta contro la società patriarcale non è contro l’uomo, ma contro un sistema ingiusto che ha conseguenze negative nella comunità, a causa delle guerre e dei conflitti che comporta. Un sistema nel quale né uomini né donne possono realizzare le loro potenzialità. Cerchiamo di rendere consapevoli gli uomini che nella violenza verso le donne, loro stessi soffrono. L’emancipazione delle donne non è fine a sé stessa, ma a vantaggio della società intera».
Nello sforzo di spiegarsi bene, suor Bernadette intreccia con forza le piccole mani: «La mascolinità – chiarisce – abbraccia tanti aspetti della vita, ai quali il patriarcato ha messo un recinto. Si tratta di uscire da quella prigione. Il cielo aperto per realizzarsi pienamente come uomini e come donne è la libertà che ci è stata donata».
Questa prospettiva richiede anche da parte delle donne il superamento di radicati pregiudizi e stereotipi che proprio loro, pur essendone vittime, si trovano spesso a perpetrare nell’educazione dei figli. Come nel caso della donna musulmana che ha insegnato al figlio maschio a svolgere i mestieri domestici, ma troverebbe inaccettabile che li svolgesse una volta sposato.
L’azione quindi, pur avendo come destinatarie le donne, passa attraverso la sensibilizzazione di tutta la comunità, sulla base di radici precise: «Tutto parte dalla formazione spirituale che rivaluta la dignità della donna, creata a immagine e somiglianza di Dio», chiarisce suor Bernadette. Questa universalità permette di lavorare anche in contesti eterogenei, dove le differenze religiose ed etniche sono causa di sanguinosi scontri, favorendo invece un dialogo efficace, capace di superare le barriere degli antagonismi, nel rispetto delle differenze. Come nel caso di un’altra donna musulmana che, in seguito alla partecipazione al gruppo di auto-aiuto, ha organizzato un negozio all’interno della propria casa, nel rispetto della tradizione che vuole che le donne non escano dalla propria abitazione.
Il punto di forza è la concretezza dell’esperienza: «Gruppi di donne come luogo del dialogo interreligioso, donne che lavorano insieme a favore della vita: nessuna religione è contro la vita».
In questo spazio aperto della reciprocità, possono sbocciare i fiori del contributo specifico dell’identità femminile alla società, fiori che danno frutti anche nel campo della sostenibilità e della pace. «Cambia lo stile di vita della famiglia e l’impatto nel sociale è sempre sulla qualità delle relazioni, per la pace, tessendo reti a livello personale, concretamente, non a partire da grandi princìpi. È la pace che passa attraverso le relazioni interpersonali, donne di campi contrapposti che si mettono insieme per costruire la pace. Così qualche anno fa, in un momento di tensione tra India e Pakistan, un gruppo di donne di quest’ultimo Paese hanno organizzato un “pulmino della pace” e, attraversato il confine, sono arrivate a Nuova Delhi portando avanti azioni di pace».
Suor Bernadette non ha dubbi: «È la relazione di reciprocità tra uomo e donna, la differenza fondamentale, che può disegnare il primo di molti cerchi concentrici di giustizia e di pace». Nei fatti, non a chiacchiere.
Elisa Copponi
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Donne, carismi, economia
La parola a suor Alessandra Smerilli, docente di economia. Che ci fa una salesiana nell’economia?
«Quando le persone sentono che insegno all’università Cattolica, pensano che la mia disciplina sia la teologia, e sono sorpresi quando scoprono che invece mi occupo di economia. Per me l’insegnamento è una bellissima opportunità per incontrare i giovani, specialmente quelli che studiano economia pensando che sia più facile trovare lavoro. A loro cerco di mostrare che esiste anche una vocazione all’economia come qualcosa di “bello”, che si occupa non solo di denaro, ma anche della città, della civiltà».
Economia come vocazione?
«Di solito questa disciplina viene vissuta ed insegnata in maniera strumentale. Purtroppo finora – ma adesso grazie all’enciclica del papa questo mito è stato sfatato – l’economia veniva considerata un ambito separato, dove aspetti come amicizia, amore, fraternità non potevano entrare. Invece la sfida è studiare e fare ricerca su come queste categorie possono aiutare a coniugare etica ed efficienza».
Da che parte cominciare?
«Vengo spesso chiamata a dare un contributo in ambito religioso. Se carisma significa “occhi nuovi per vedere un’opportunità dove gli altri vedono un problema”, questo vale anche nell’innovazione economica. In quanto esperta, vorrei quindi prima di tutto riportare alla luce quello che hanno fatto nella storia i carismi in questo campo, per esempio i francescani con i Monti di pietà, o il mio fondatore, Don Bosco, che per amore dei giovani ha inventato il primo contratto di lavoro: l’apprendistato.
«Poi, in un momento in cui gli istituti religiosi vivono la crisi delle vocazioni, l’aumento dell’età media, un rapporto con i laici per alcuni solo agli inizi, vorrei mostrare come un carisma può essere innovativo dal punto di vista economico, senza perdere la propria vocazione, quindi senza asservirsi per forza a certe logiche o buttarsi completamente nel mercato.
«È quello che il papa chiede: forme diverse di imprese per un’economia civile. Il mondo dei carismi è già sul mercato, con servizi di vario tipo, educativi, sanitari ecc. La sfida è esserci in modo nuovo, producendo innovazione per il mondo di oggi. La dimensione economica è quindi un aspetto della missione, non è staccata; per questo mi chiamano spesso per la formazione iniziale e permanente dei religiosi. A dicembre un convegno all’Urbaniana di Roma farà il punto proprio su: “Carismi ed economia a confronto”».
Economia e donna…
«Nella Chiesa e nella società l’espressione carismatica convive con quella istituzionale. Seguendo il teologo von Balthasar è possibile leggere tutta la storia della civiltà, e anche dell’economia, come un dialogo tra questi due profili. Il profilo carismatico però è anche un profilo mariano, che richiama la donna, e come religiosa sento importante che ci sia maggiore spazio per la donna in economia, ma non solo. Per definire l’economia in inglese ci sono due parole: economics (scienza) ed economy (sistema economico). È importante che la donna possa avere maggiore spazio all’interno della scienza economica per farle assumere un “colore” diverso dall’attuale».
a cura di Giulio Meazzini