La violenza quotidiana che interpella i credenti
L’11 maggio un giovane ghanese ha ucciso a picconate tre inermi passanti a Milano, affermando che sentiva dentro di sè delle voci che lo spingevano al gesto. Milano è rimasta sconvolta e senza parole per spiegare a se stessa quanto stava e sta accadendo.
Ma questo «scialo di morte» – per usare una bellissima espressione di padre Turoldo – ha assunto, in questi tempi, volti diversi e tragici: molti uccidono e molti si suicidano e alcuni uccidono e poi si suicidano. La crisi culturale e sociale ci attraversa non solo da fuori, ma anche da dentro, da dentro noi stessi. Gli effetti sono devastanti e moltiplicano la paura e la fuga. La perdita di lavoro poi spezza l’identità e la dignità e spinge ai gesti più terribili e assoluti, senza ritorno.
Scriveva, ieri, Vittorino Andreoli sul Corriere della sera: «la crisi è passata dall'economia, cioè dal denaro che non c’è, dentro la testa di tutti noi e sta modificando lo stesso modo di pensare e il senso della vita ,dell’essere nel mondo. Da una parte dunque la sensazione di trovarsi in un tunnel buio che toglie ogni possibile protagonismo e fa avvertire la propria impotenza, dall’altra il cambiamento della visione del mondo, che vede sparire la speranza e finisce per mostrare la morte come unica possibile soluzione per uscire dalla crisi”.
Sono parole che interpellano tutti e in particolare i credenti. Marco al capitolo nove del suo vangelo racconta l’incontro di Gesu con un tale che porta dal maestro il figlio posseduto da uno spirito muto. Quando lo afferra lo getta al suolo ed egli schiuma ,digrigna i denti e si irrigidisce. «Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo e non ci sono riusciti. Dall’infanzia spesso l’ho buttato persino nel fuoco e nell’acqua per ucciderlo», dice il padre. Non è un episodio molto distante da quanto stiamo vivendo oggi.
Ancora Marco ma stavolta al capitolo cinque dice: «Venne incontro a Gesù dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo. Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato, perchè più volte era stato legato con ceppi e catene ma aveva sempre spezzato le catene, infranto i ceppi e nessuno riusciva a domarlo. Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti gridava e si percuoteva con pietre. Questo spirito si chiamava legione perché siamo in molti». L'episodio si conclude con questa legione che entra nel corpo di una mandria di porci e finisce per gettarsi nel lago da una rupe.
Come affronta Gesù questi episodi. Anzitutto fa una distinzione tra i dèmoni (legione ) e le persone. Le persone vanno salvate mentre i dèmoni vanno cacciati e vanno cacciati dal cuore e dalla vita delle persone. Nel primo episodio il padre cerca di uccidere il figlio. Nel secondo, l’indemoniato vive nell’abbandono e nella violenza dei sepolcri senza che nessuno si occupi di lui e se ne prenda carico. Nel primo episodio Gesù annuncia la forza della fede e afferma che tutto è possibile per chi crede. Rialza e rimette in piedi il ragazzo liberato dal dèmone. Nel secondo episodio invece Gesu fa precipitare i dèmoni in una mandria di porci, chesi gettano nel mar di Galilea (lago) dove tutti affogano. Il geraseno che prima metteva la sua bocca a disposizione dei dèmoni, una volta liberato si mette al servizio di Gesù. La genta della regione dei Gerasèni, visto il danno subìto con la mandria di porci annegati caccia Gesù dalla città. Il guadagno è più importante della cacciata dei dèmoni, anzi diventa il demonio.
Oggi che la paura, la fuga, la morte sono i volti del nemico, essi entrano nella nostra vicenda quotidiana e prendono possesso del nostro cuore e come i discepoli siamo incapaci a guarire la mondanità e talvolta siamo come i geraseni, che preferiscono le loro mandrie alla sconfitta dei dèmoni. In questo clima culturale e sociale non possiamo moltiplicare solo la paura, la violenza e l’istinto di morte. Gesù ci chiama alla preghiera perchè questi dèmoni possono essere cacciati solo dalla preghiera. La preghiera diventa identità della chiesa e del discepolo. E la forza mite del vangelo si oppone alla mondanità. Nessuna magia di gesti ma un'invocazione incessante e una condivisione di vita con i più spezzati.
Mai come oggi la chiesa, come comunità dei credenti, è chiamata a seminare la speranza e a cacciare i dèmoni. La mondanità che spesso abita nella stessa casa dei discepoli viene sconfitta attraverso la forza debole della Parola e la potenza mite della preghiera per ricostituire le persone nella loro dignità di persone.
Forse se il giovane ghanese, nel suo tormentato viaggio esistenziale, fosse stato accolto e guarito da chi poteva discernere quelle voci terribili di possesso, oggi non saremmo a piangere una tragedia. Certo bisogna riconoscere che spesso anche noi facciamo ,come gli abitanti di Gerasa: ci si preoccupa di più delle nostre mandrie di porci che di liberare le persone dalle loro angosce e paure. Quello che sembra rassicurarci, in realtà ci rende complici dei dèmoni, che fanno della paura il loro regno.