La violenza interreligiosa nella “Terra d’oro”

Gli scontri tra buddhisti (la maggioranza della popolazione) e i membri di altre comunità religiose in Birmania ci sono sempre stati. Ma per quali motivi? Un approfondimento
Monaci buddhisti in Myanmar

Arrivando a Yangon, sulla strada che porta verso il centro della città si è accolti da un grande cartello: “Welcome to the Golden land”. Del metallo tanto prezioso e ricercato nel mondo intero, in questa terra se ne trova in gran quantità, come anche di legno pregiatissimo (il teak del Myanmar viene chiamato “teak d’oro” per il suo colore giallastro, unico ed inconfondibile). Di color oro sono piene le pagode in tutto il paese: è il colore che dà più onore e rispetto, ed è dedicato alla divinità, alle immagini sacre del Buddha ed una volta ne era adornato il re della Birmania al quale veniva donato. Ancor oggi si rimane quasi accecati passeggiando sulla spianata di qualche pagoda famosa, per quanto è forte il riflesso del sole che colpisce le Chedi (stupe).

“Ma non è tutto oro quel che luccica” recita un proverbio italiano: ed anche in Myanmar è così. Rimangono tante difficoltà sulla strada di un vero sviluppo del Paese che arrivi ai cittadini, ed il dialogo tra le religioni ne è senza dubbio un aspetto molto importante e particolarmente doloroso.

Il Myanmar sta ora uscendo da decenni di chiusura quasi totale al mondo esterno. La religione, ed in particolare il buddhismo, era l’unico aspetto che aiutava ad “evadere” dalla vita quotidiana, dura se non durissima, ed è stata anche l’unica forma di aggregazione “ammessa” dal regime per le persone comuni. Al di fuori delle funzioni religiose, la gente si poteva incontrare solo in piccoli gruppi. Le comunità di buddhisti, cristiani, musulmani, hindu si sono sviluppate in modo competitivo per decenni: non c’è stato molto dialogo. Anche le lotte, a volte violente, non sono mai mancate, soprattutto tra le varie etnie che formano l'"Unione del Myanmar” ed anche tra musulmani e buddhisti. Nei decenni passati non è trapelato al di fuori del Paese perché il regime ha usato quella che è stata definita una “cortina di bambù” fittissima, impenetrabile, ma i morti per violenze interreligiose ci sono sempre stati. Parlando con amici che lavorano nel campo diplomatico e che sono stati nel Paese anni addietro, ho avuto conferma che questo tipo d’incidenti si ripetono da decenni. Prima dell’abbassamento della “cortina di bambù”, non era possibile che queste notizie uscissero verso l’esterno: oggi, con la tecnologia e le agenzie d’informazione a caccia di notizie anche in Myanmar, il mondo comincia a conoscere alcuni aspetti nascosti di questo Paese. Ciò che leggiamo oggi è solo la punta di un grande iceberg che non si scioglierà tanto presto.

Da marzo di quest’anno le cronache hanno riportato notizie sugli scontri violentissimi tra buddhisti e musulmani di etnia Rohingya nello stato del Rokhine ed abbiamo visto tutti le immagini di villaggi incendiati, con gente in fuga e disperata perché rimasta senza nulla. Non è una scena nuova in Myanmar. Dobbiamo puntualizzare questo: le lotte tra etnie sono storia antica nel paese delle pagode d’oro. Basti pensare all’uccisione, da parte dell’etnia Phama, del generale (di etnia Karen) Aung San (padre del premio Nobel Aung San Suu Kyi) all’indomani dell’indipendenza il 19 Luglio 1947; e la guerra tra il governo dei Phama coi Karen, i Kachin, gli Shan, i Lahu. I Rohingya sono solo un’etnia minoritaria che si ribella al dominio dei Phama, buddhisti, che detengono il potere dal 1947 e sono di religione musulmana. In questa lotta con i Rohingya, musulmani, i monaci hanno giocato un ruolo fondamentale, spesso fomentando la lotta, se non addirittura istigando la gente ad attaccarne i raggruppamenti.

I due paesi della regione in cui questa intolleranza religiosa è sviluppata sono lo Sri Lanka ed il Myanmar: in entrambi il buddhismo è molto diffuso (la maggioranza della popolazione lo pratica) e la lotta contro le minoranze religiose è la valvola di sfogo adatta a scaricare i malcontenti sociali. Certamente questo può essere un motivo, ma perché il buddhismo del Myanmar ha assunto aspetti così forti e violenti?

Dobbiamo dire che in entrambi i paesi la religione buddhista gioca un ruolo fondamentale nella vita delle persone e spesso sfiora aspetti quasi di fanatismo. L’avvento prepotente del consumismo sta facendo “perder terreno” ai monaci che vedono i giovani seguire più la tecnologia digitale e “le minigonne” che le cerimonie o le tradizioni buddhiste. La gente si sta allontanando dal buddhismo ufficiale anche per via degli scandali e della poca coerenza che riscontra. Tutto questo crea un grande nervosismo e voglia di “trovare un colpevole”: è facile riconoscerlo nelle religioni monoteiste, segno di una cultura lontana ed esterna che avanza.

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