La via della seta 3.0
Mentre il dittatore nord-coreano minaccia il mondo intero, in un valzer diplomatico con Trump, Putin e lo stesso presidente cinese, prende l’avvio il «progetto del secolo», come lo definisce Xi Jinping aprendo il forum “Belt and Road for International Cooperation”. Si tratta di progettare costruire infrastrutture megagalattiche lungo le rotte commerciali tra l’Asia, l’Europa e l’Africa. Una sorta di Via della Seta 3.0, dopo quella dei tempi di Marco Polo e dopo quella attorno al XV secolo. A Pechino sono presenti delegazioni di 100 Paesi, tra cui quella italiana guidata dal premier Gentiloni.
Strano: non è più il presidente Usa l’alfiere strenuo del libero mercato, ma l’omologo cinese, che non esita a far proclami di liberismo del tipo: «Difenderemo un’economia mondiale aperta e un sistema del commercio internazionale e degli investimenti giusto, ragionevole e trasparente». In che mondo viviamo? Tanto più che a spalleggiarlo vi sono due altri big quali Vladimir Putin e Recep Tayyp Erdogan, non proprio immacolati difensori dei diritti dell’uomo. La democrazia e il liberismo stanno divorziando?
La strategia cinese è espansionistica in campo commerciale: da tempo i governi cinesi hanno investito molto più sul commercio che sulle armi, le guerre le lasciano fare ad altri, conquistando pezzo su pezzo i mercati mondiali, cercando sempre nuovi sbocchi portuali e aeroportuali, tracciando autostrade in quasi tutti i Paesi dell’Asia centrale, pagandole di tasca propria a condizione di avere condizioni commerciali privilegiate. Ricordo l’aeroporto di Bishkek in Kirghizistan, Paese che ospita sia basi russe che statunitensi, come scudo per il vicino Afghanistan: a ovest dello scalo c’erano 5 Antonov russi immensi e immobili, blu cielo; a occidente, invece, stazionavano solitari 4 Hercules Usa, grigi come i topi. E in mezzo una ventina di piccoli aerei di trasporto cinesi che scaricavano e caricavano merci a ritmo continuo…
Un nuovo imperialismo è quello cinese, nascosto dietro le merci? Certamente qualcosa c’è, l’espansionismo di Pechino (che, non dimentichiamolo, ha giocato e gioca su enormi riserve valutarie coi quali s’investe nel mondo intero, e sul possesso di una cifra vicina ormai al 20 per centro del debito Usa) incute paura, in Africa soprattutto. Ma non si può più fare a meno di stabilire rapporti di partenariato con Pechino. Bisogna aprire nuove rotte. Della seta o del cotone, degli apparecchi digitali o del petrolio. Il contagio “democratico” non può far a meno del commercio. Da regolare però a livello planetario.