La via dei presepi

Si trova nella Napoli antica ed è famosa per un artigianato tuttora fiorente, che si rifà alla rappresentazione della Natività.
san gregorio armeno

San Gregorio Armeno, chi era costui? Dubito che a qualcuno verrà in mente di domandarselo, percorrendo l’affollata arteria omonima che – in pieno centro storico, a Napoli – collega piazza San Gaetano a via San Biagio dei librai.

In realtà per i napoletani, al di là dei riferimenti eruditi, questa è la strada dei presepi e dei pastori per eccellenza. Qui infatti si concentrano forse le ultime botteghe artigiane che riprendono – e in certi casi rinnovano – questa antica tradizione, che proprio a Napoli conobbe il suo massimo splendore, soprattutto a partire dal 1600.

 

A San Gregorio Armeno, per tutto l’anno, intere dinastie di "presepianti" come i Ferrigno, i Lettieri, i Capuano ed altri, lavorano nel segreto delle loro botteghe a sfornare eserciti di pastori, legioni di angeli, stuoli di Bambini, Madonne e san Giuseppe, insieme ad uno sterminato armamentario di oggetti miniaturizzati, corredo di un presepio che si rispetti: il tutto poi, con un buon mese di anticipo sulle festività natalizie, viene esposto su bancarelle, tra luci e suoni, trasbordando festosamente nella via. È allora tutto un popolo coloralo di figure in terracotta, in legno, e in altri più o meno nobili materiali a mescolarsi quasi al popolo dei vivi.

 

Tra questi artigiani-artisti, ce n’è di veri scultori, come Giuseppe Cesarini, la cui attività principale è quella di plasmare e restaurare statue devozionali al modo antico, in legno, creta, stucco, tela plastica o cartapesta. Sua collaboratrice è Giuseppina, la moglie, che confeziona e ripara le vesti dei vari personaggi. Due figure che per semplicità e bontà sembrano fatte della stessa pasta dei loro santi e pastori.

 

San Gregorio Armeno, conosciuto anche oltreoceano, dove non di rado emigrano – su richiesta di amatori – veri piccoli capolavori, che poco hanno da invidiare a certi pezzi firmati da un Sammartino, da un Bottigliero, da un Celebrano, dai grandi insomma del passato. Qui è un rito, per ogni napoletano, venire a rifornirsi dell’occorrente per costruirsi un presepio o a cercare il "pezzo" introvabile, oppure soltanto ad ammirare le ultime novità. Come quest’anno: accanto ai Totò e agli Eduardo, che da qualche tempo hanno acquisito cittadinanza stabile in mezzo alla folla dei pastori, si vede spuntare l’inconfondibile fisionomia di un Di Pietro in toga o in maniche di camicia, quasi nuovo "taumaturgo" da affiancare a san Gennaro!

 

Ma guardiamoli più da vicino, questi presepi: non c’è che dire, sono quanto di più realistico si possa immaginare, brulicanti di una umanità dedita a svariate faccende, per lo più relative alla sopravvivenza (e difatti, tra i personaggi, c’è chi mangia e chi beve, chi vende e chi compra commestibili). In questo bailamme gastronomico, tra festoni di salsicce e grappoli di caciotte, la scena della Natività è incastonata e al tempo stesso isolata: pochi sembra che si accorgano del mistero che lì avviene, tranne gli angeli che calano dal cielo, i tradizionali re magi e qualche altro.

 

Di fronte a rappresentazioni cosi "terrestri", qualcuno potrebbe arricciare il naso e definire (nella migliore delle ipotesi) "superficiale" la religiosità dei napoletani. Eppure, secondo la cultura che le ha espresse, il sacro è una dimensione che può coesistere nelle condizioni più concrete dell’uomo, i santi sono considerati persone di "famiglia", paradiso celeste e inferno terrestre vanno a braccetto. Senza contare che, probabilmente, la nascita di Gesù dovette avvenire proprio in un contesto simile: pochissimi consapevoli, mentre i più continuavano ad essere immersi nelle proprie occupazioni, sopravvivere, mentre a pochi passi nasceva la Vita.

 

Si   emerge   dal budello di San Gregorio Armeno e ci si ritrova ancora nel presepio: ché, senza soluzione di continuità, esso si moltiplica, si amplifica nel tessuto urbano di questa "città a strati", come è stata definita la Napoli antica per la convivenza nello stesso edificio, dislocate in diversi piani, di tutte le categorie sociali. Qui, tra i vicoli, sotto portici e nei fondaci, si ripetono le stesse scene riprodotte in piccolo nei presepi: c’è chi vende e chi compra, chi è operoso e chi ozia, chi scende chi sale, chi piange e chi ride. Qui i re magi si mescolano ancora ai pezzenti, e accanto alla mostra di una macelleria si può percepire talvolta – a farci attenzione – un lieve palpitare di ali angeliche.

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