La via dei Gesù, la via dei poveri
La settimana santa narra e celebra il mistero di Gesù e al tempo stesso la storia degli uomini, la storia delle vittime. Domenica scorsa, la domenica delle palme, la passione secondo Marco ci ha consegnato il mistero dell’uomo e il mistero di Dio nella confessione di un centurione che vedendo morire il crocifisso abbandonato, esclama: «Questo uomo era veramente il Figlio di Dio».
Al tempo stesso la lettura di Isaia ci narra il mistero di un servo, che dice: «Ho presentato il dorso ai flagellatori le mie guance a coloro che mi strappavano la barba: non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi». Dunque questo servo di Dio è un torturato. E la lettera ai Colossesi ci spiega che in questo torturato si compie il mistero di Gesù che«svuotò se stesso, assumendo una condizione di schiavo e diventando simile agli uomini, facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce». Appare sempre più evidente che il vangelo del Signore parla di un Dio umiliato, che chiama all’umiltà; di uno schiavo, che porta alla libertà; di un crocifisso abbandonato, che ci chiama sulla via crucis, come via pacis e via amoris.
Il giovedì santo narra e celebra il mistero della lavanda dei piedi. E’ il gesto dello schiavo di Genesi 18 verso i tre ospiti di Abramo. Abramo non compie quel gesto, ma lo fa compiere al servo. Nella lavanda dei piedi Giovanni non ci racconta l’istituzione della eucaristia, ma la sua esegesi, la sua interpretazione che è la lavanda dei piedi: appunto il gesto dello schiavo, che diventa celebrazione della morte del Signore. I due verbi «deporre e riprendere» li troviamo nella parabola del buon pastore, per dire che il pastore buono dà la vita per le sue pecore.
Gesù conclude prefigurando la chiesa dei servi, la chiesa dei poveri, la chiesa del grembiule, secondo la bellissima immagine di don Tonino Bello:«Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni gli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché voi facciate come io ho fatto a voi». Ecco il Signore che si fa schiavo e chiede ai suoi discepoli di diventare schiavi gli uni degli altri, perché cosi ha fatto Lui per tutti.
Nel venerdì santo il quarto canto del servo di Dio sofferente e la passione secondo Giovanni ci raccontano la morte di Dio,vittima tra le vittime,innocente ucciso insieme agli innocenti del mondo, rigettato tra i rigettati, maledetto tra i maledetti. Ecco il servo di Dio che «non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere. Disprezzato e rigettato dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia. Era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima». Ecco il mistero di questo servo, che incontriamo nella nostra storia, là dove la guerra, la violenza e il terrore sfigurano l’umano, violando l’umanità dei piccoli.
Tutto questo trova la sua piena sintesi nella passione di Giovanni. Gesù dopo il processo e la parodia dell’incoronazione «uscì, portando la corona di spine e il mantello di porpora. E Pilato disse loro: “Ecco l’uomo”». Il pagano e potente Pilato ci rivela il mistero dell’uomo. L’uomo è colui che è violato e ucciso nei sotterranei della storia; l’uomo è il crocifisso abbandonato, è il torturato, è colui che è in mano d’altri; uno di cui si esegue la sentenza di morte, di cui si dispone con il massimo del potere, è il sofferente delle malattie della storia, è colui che si carica del dolore del mondo.
Lo dice la lettera agli Ebrei:«Cristo infatti, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo dalla morte e per il suo pieno abbandono a lui venne esaudito. Pur essendo figlio, imparò l’obbedienza dalle cose che patì, e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono».
Tutto ha la sua piena epifania nella luce della Pasqua, nel sepolcro vuoto, nella pietra rotolata, nella testimonianza delle donne e dei discepoli. Dice l’apostolo:«Ogni volta che mangiate questo pane e bevete al calice,voi annunciate la morte del Signore finché egli venga». Il tempo, il nostro tempo diviene il tempo dell’attesa, del ritorno del Signore, che viene e viene presto.
L’annuncio della morte del Signore finché egli venga ci libera da ogni tentazione di conquista, di dominio religioso e ci apre a riconoscere nella carne dei poveri la carne di Gesù, e nella carne di Gesù la carne dei poveri. La storia di Gesù ci viene incontro nella storia e nella vita dei poveri.
Ecco la chiesa povera e dei poveri, che nasce nella settimana santa, perché è la chiesa del crocifisso abbandonato, la chiesa dell’uomo imprigionato e torturato nel pretorio di ogni tempo. Questa chiesa non imprigiona gli uomini in precetti e dottrine, ma li ama con la forza dell’amore disarmato di Gesù, che ama per amare, non per catturare o conquistare. L’amore è dare la vita, come ha fatto Gesù per noi«quando eravamo nemici e peccatori», come dice l’apostolo.
Ecco l’umanesimo dei poveri e delle vittime, di coloro che oggi vengono rigettati sulle strade del mondo, battuti come l’uomo che scendeva da Gerusalemme a Gerico. L’umanesimo non è una dottrina, una sapienza, una ideologia, ma è una persona, la persona di Gesù; è incontrare Dio, la sua misericordia, la sua tenerezza, la sua liberazione, nella vita e nella morte dei crocifissi della storia: nel Mediterraneo, nel Medio Oriente, al cuore dell’Europa,i n Africa, nella grande Asia, nelle Americhe.
La chiesa italiana celebrerà a Firenze, a novembre, il suo quinto convegno ecclesiale. Impari ad essere la chiesa del grembiule, che sa lavare i piedi ai poveri e impari da loro il mistero di Gesù, si inginocchi davanti al dolore delle persone. Non abbia nostalgie per progetti culturali e non si volti indietro, perché, come la moglie di Lot, rimarrebbe pietrificata.