La via crucis dei profughi
A Lampedusa la processione del venerdì santo sarà dedicata ai migranti: nel testo le storie delle mamme e dei bimbi morti nel Mediterraneo e la guerra in Libia
«Mamma, ma perché tanti papà, tanti ragazzi, tanti bimbi e tante mamme muoiono sui barconi nel canale di Sicilia. Perché ancora loro, sempre loro, africani e asiatici. Perché?». Così comincia il dialogo tra un ragazzo e la sua mamma in una delle stazioni della Via Crucis, scritta per i profughi di Lampedusa. E ancora. Quinta stazione. Gesù è aiutato dal Cireneo. «Mamma chi è il Cireneo?», chiede il ragazzo. «È un giovane africano, scuro, di Cirene, una città della Libia, dove c’è la guerra e muoiono tanti innocenti», risponde la mamma. In ogni tappa del percorso di questa originale via della Croce i riferimenti all’attualità non mancano: ci sono gli eritrei, le donne pakistane condannate per la fede, si parla anche di Yara, Sara e di tutte le giovani vite stroncate in quest’anno dalle azioni violente degli uomini. La celebrazione del mistero della morte di Cristo, in questa Pasqua 2011, non può certo dimenticare le tragedie che si stanno vivendo a pochi chilometri da casa nostra.
Questa sera gli abitanti di Lampedusa, con in testa il parroco Stefano Nastasi, avanzeranno in ogni tappa meditando gli ultimi momenti della vita di Gesù a Gerusalemme, trasferiti all’oggi, perché questa «via dolorosa, è una lezione, una riflessione sulle tante croci che costellano il nostro mondo e il nostro Mediterraneo», commenta don Nino Nuzzo, autore del testo. «Mi sono svegliato di notte e ho scritto di getto tutte le stazioni », spiega il sacerdote, raggiunto al telefono nella canonica di Tortorici, un piccolo centro nel messinese, sui Nebrodi, teatro nel passato di violente faide mafiose.
«Mi sono fatto aiutare dalle mamme del paese e dai ragazzi: ho visto i loro dialoghi, ho sentito tante volte “i perché” chiesti dai piccoli ai grandi e ho pensato di riproporli nella Via crucis». E le domande di questi dialoghi riguardano tutti: la guerra in Libia, l’irrefrenabile ondata migratoria, l’accoglienza e il rifiuto, la separazione dalla patria e dai propri cari. «Questi dolori non possono lasciarci indifferenti, – continua don Nino -, il Mediterraneo non può restare distante dai nostri monti». E proprio per colmare questa distanza il parroco dei Nebrodi ha chiamato personalmente quello di Lampedusa per offrirgli il dono della Via crucis. Anche al telefono, la commozione tra i due è stata palese. Don Stefano, che in queste settimane, è stato al centro del turbine mediatico, chiede che la sua gente non venga dimenticata, chiede piccoli gesti di solidarietà, di vicinanza, segni palesi che manifestino l’appartenenza alla stessa Chiesa e alla stessa nazione.
Nella dedica iniziale, il pensiero di don Nino va alle gente di Lampedusa, Linosa e Pantelleria: «cirenei e veroniche di questi ventimila profughi», che hanno assistito in queste settimane con cura e attenzione, inventandosi di tutto pur di soccorrerli. Poi si rivolge anche a tutte le altre città italiane che stanno ospitando i migranti, perché ricordino che «servono Gesù profugo in cerca di posto». Per questi scampati alla morte nelle acque del Mediterraneo, tomba di migliaia di loro compagni, può esserci davvero un’altra vita, una Pasqua, una resurrezione e questa dipenderà, non solo dalla fede, ma anche dalla sconfitta degli egoismi nazionali e localistici, dalla capacità di dilatare il cuore: qui entriamo in gioco tutti.