La via che conduce alla verità
Bernardo di Chiaravalle Chi ha influito su tutto l’Occidente medioevale nella comprensione dell’umiltà, è san Bernardo di Chiaravalle (1091-1153) col suo opuscolo I gradi dell’umiltà e dell’orgoglio. Per prima cosa diamo i titoli dei vari capitoli che parlano dell’umiltà in questo celeberrimo opuscolo: Cristo è la via dell’umiltà che conduce alla verità; Con quale frutto si salgono i gradini dell’umiltà; Il primo gradino della verità consiste prima di tutto nel conoscere se stesso e nel vedere la propria miseria; Il secondo gradino della verità, partendo dalla conoscenza della propria debolezza, consiste nel compatire la miseria del prossimo; Il terzo gradino della verità consiste nel purificare gli occhi del cuore per contemplare le cose divine e celesti; In che modo la Santissima Trinità opera in noi questi tre gradini della verità. Riassumiamo ora brevemente il pensiero di san Bernardo contenuto nei primi sette capitoli del suo opuscolo. Partendo dal testo di san Giovanni: Io sono la via, la verità, la vita (16, 6), Bernardo dimostra che l’unica strada per giungere alla verità è la via dell’umiltà. L’uomo, per essere stabile nella verità, deve prima di tutto conoscere se stesso. La conoscenza di se stesso è il punto di partenza per l’uomo alla ricerca della verità. E questa conoscenza che genererà l’umiltà; infatti, prendendo coscienza della propria miseria, l’uomo si sentirà spregevole. La conoscenza della verità si divide in tre parti. Dapprima l’uomo cerca la verità in se stesso imparando a conoscersi. Cosciente della propria infermità, l’uomo diventa comprensivo e misericordioso verso gli altri; ed allora cerca la verità nel prossimo avvicinandolo con indulgente compassione. Infine, egli cerca la verità in se stesso e purifica il suo cuore per contemplare Dio. La Santissima Trinità è l’autrice di queste conoscenze soprannaturali. Il Figlio di Dio, Verbo e Sapienza del Padre, si mostra alla ragione dell’uomo che egli trova oppresso dalla carne, schiavo del peccato, cieco per l’ignoranza, dedito alle cose esteriori. Egli, allora, la raddrizza con forza, l’istruisce con prudenza e la trascina nell’interiorità. L’anima, fatta capace dal Verbo di vivere in se stessa, può allora giudicarsi: accusatrice di se stessa, essa rende testimonianza alla verità. In questo modo l’umiltà nascerà dall’unione del Verbo con la ragione umana. Poi, lo Spirito Santo viene a visitare la volontà, questa volontà infetta dai desideri della carne, ma già scossa dalla ragione. Egli la purifica, la riempie d’ardore e la rende misericordiosa. Simile a una pelle che è stata unta, la volontà si dilata e si distende con l’affetto fin sopra i nemici. Dall’unione dello Spirito Santo con la volontà proviene la carità. Ormai l’anima umile, purificata da qualsiasi volontà propria, è senza macchia; è senza rughe per via della carità che la anima. Così la volontà non si oppone più alla ragione. Allora il Padre può unirsi strettamente all’anima come a una sposa gloriosa, egli la introduce nella sua intimità: dal momento che la ragione non pensa più a se stessa e la volontà non è più presa dagli obblighi della carità verso il prossimo, l’anima felice non può che compiacersi e dire: Il re mi ha introdotto nella sua stanza (Ct 1, 4). L’anima è cosi condotta nel primo ciclo dal Figlio ed ella esclama: Signore, so che giusti sono i tuoi giudizi e con ragione tu mi hai umiliato (Sal 118, 75). L’anima è condotta dallo Spirito Santo nel secondo ciclo, ed esclama: Come è buono e giocondo che i fratelli abitino insieme! (Sal 132, 1). Al terzo ciclo (Bernardo allude a 2 Cor 12, 2) l’anima non è condotta, ma elevata e trasportata nei segreti della verità; ella dice: Il mio segreto è mio, il mio segreto è mio (Is 24, 16). Ignazio di Loyola Sant’Ignazio di Loyola negli Esercizi spirituali, alla seconda settimana, tratta dell’umiltà e propone una suddivisione dell’umiltà in tre modi o gradi nel servizio di Cristo. Anche sant’Ignazio intende l’umiltà non in senso stretto ma in senso lato, cioè come atteggiamento dell’anima circa il servizio di Dio e l’uso delle creature. II primo modo di umiltà è necessario per la salvezza eterna; devo, cioè, cosi abbassarmi e cosi umiliarmi, in quanto mi sia possibile, da obbedire in tutto alla legge di Dio nostro Signore, di modo che anche se mi facessero padrone di tutte le cose create in questo mondo, o si trattasse di salvare la mia vita temporale, non mi metta a deliberare di trasgredire un comandamento, sia divino sia umano, che mi obblighi sotto pena di peccato mortale. Il secondo modo è più perfetta umiltà che il primo, cioè, se io mi trovo in tal disposizione da non desiderare, né essere più inclinato ad avere ricchezze piuttosto che povertà, a cercare onori piuttosto che disonori, a desiderare vita lunga piuttosto che breve, quando sia uguale il servizio di Dio nostro Signore e la salute dell’anima mia; e inoltre che nemmeno per tutto il creato, nemmeno se mi togliessero la vita, venga io a deliberare di commettere un peccato veniale. La terza umiltà è perfettissima, quando, cioè, includendo la prima e la seconda, essendo uguale la lode e la gloria della divina Maestà, io per imitare e assomigliare più attualmente Cristo nostro Signore voglio e scelgo piuttosto povertà con Cristo povero che ricchezza, piuttosto obbrobri con Cristo coperto di essi che onori, e desidero più di essere stimato sciocco e stolto per Cristo, che per primo fu ritenuto per tale, che savio e prudente in questo mondo.