La Vergine che sale
Febbraio, lo segnalo come mese indicato per chi voglia godersi una Venezia quasi sgombra di visitatori e bancarelle di souvenir. La città della laguna ha infatti d’inverno, per qualche turista intirizzito alla ricerca della Bellezza, come me, un fascino aggiunto, “metafisico” (per dirla con De Chirico).
Sestiere di Cannaregio, un po’ al di fuori dei percorsi turistici più noti. Incurante del vento gelido che spazza calli, campielli e canali, raggiungo la Madonna dell’Orto, capolavoro dell’architettura gotica veneziana traboccante di opere dei grandi della pittura veneta: i due Palma, Tiziano, Cima da Conegliano… e poi quel Tintoretto che ebbe casa e studio proprio qui vicino, nel campo dei Mori, ed oggi è sepolto in questa stessa chiesa per la quale realizzò dieci dipinti. Chiesa il cui luminoso interno consente di ammirare abbastanza agevolmente i tesori d’arte qui raccolti.
Tra i primi, la Presentazione di Maria al Tempio, che il Tintoretto terminò di dipingere nel 1552 sulla parte esterna delle portelle dell’organo. L’opera, che ha per fulcro l’imponente scalea del Tempio di Gerusalemme, s’ispira ad un racconto apocrifo secondo il quale Anna e Gioacchino, genitori di Maria, la condussero al Tempio all’età di cinque anni perché vi venisse educata insieme ad altre vergini. Oltre la metà della composizione è immersa in una penombra nella quale s’intravedono vari personaggi assistenti alla scena. Una luce calda, invece, accarezza la ripida scalea ricca di fregi sovrastata da un barbuto sacerdote nell’atto di accogliere Maria bambina. La si scorge in secondo piano, unica e sola, salire i gradini senza indecisione, con grazia, mentre in primo piano una madre la mostra alla figlia: quasi a indicare all’osservatore cristiano il modello da seguire. La guglia che svetta sullo sfondo di nuvole proprio accanto alla Vergine sembra messa lì apposta per duplicarne la figura e simboleggiarne l’anima puntata verso l’Altissimo.
Si tramanda che di fronte a questo meraviglioso dipinto, per la prima volta, sostenitori e detrattori del Tintoretto si trovarono d’accordo per decantarne la bellezza.
Ed ora nel sestiere di San Polo per la meta successiva: la chiesa di Santa Maria Gloriosa dei Frari, celebre per la monumentale pala d’altare nella quale Tiziano, che qui ha la tomba, effigiò l’Assunta. Appena ultimata, nel 1518, essa costituì una novità rivoluzionaria dal punto di vista sia iconografico che stilistico (la Madonna rappresentata come una donna vera, in carne ed ossa, e non idealizzata). Nella parte superiore del dipinto consacrata alla realtà celeste, in uno sfolgorio di luce dorata, Maria ascende tra schiere festanti di angeli. È accolta stavolta dall’Eterno Padre, cui ella invia sguardi colmi di indicibile adorazione e gratitudine. Nella parte inferiore è la realtà terrena: un agitarsi di apostoli variamente atteggiati attorno ad un sepolcro ormai vuoto. Punto d’incontro tra terra e cielo è Giovanni, il discepolo amato al quale Cristo affidò la Madre dall’alto della croce: è raffigurato mentre protende le braccia verso la nube sulla quale poggia Maria, quasi a volerla trattenere.
Maria, la Vergine che sale, primizia dell’umanità chiamata al suo destino celeste. Così l’ho pensata, dopo la tappa veneziana: «Bambina, salivi svelta la gradinata del Tempio per unirti alle vergini da educare nelle Sacre Scritture. Giovinetta, dopo l’Annunciazione, salivi verso la montagna incontro a Elisabetta, e ricevuta da lei benedizione per aver creduto, hai cantato il Magnificat. Donna, hai salito il Calvario per stare ai piedi della croce di Gesù. Infine, giunta al termine della tua missione, sei salita al Cielo come Assunta. Sempre sei salita. Verso Dio e verso quel Cielo dal quale ti chini oggi su di noi, fatti figli tuoi».