La “Vera Philosophia”
"Se solo dopo Cristo la filosofia incontra la verità" di Francesco Tomatis (Avvenire, 16 marzo 2013)
Mentre è in uscita la seconda edizione della documentatissima e approfondita Storia del pensiero medievale di Giulio d’Onofrio, pubblicata nel 2011 da Città Nuova, ecco che presso la stessa editrice lo storico del pensiero medievale ci offre un prezioso volume dedicato alle figure centrali della filosofia occidentale cristiana precedenti la riscoperta aristotelica, cioè Agostino d’Ippona, Boezio, Scoto Eriugena e Anselmo d’Aosta, nonché a Cicerone, la cui rielaborazione dello scetticismo greco risulta fondamentale per comprendere la prima recezione filosofica del cristianesimo in ambiente latino, e a Cusano, epigono della tradizione del neoplatonismo cristiano.
Pur avendo intravisto come la filosofia sia dono degli dèi, Cicerone si limitò a riformulare uno scetticismo moderato, intendendo il ruolo filosofico più nel senso di un disciplinamento morale, per una retta condotta di vita, che in modo teoretico e conoscitivo. Discostandosi quindi dalla sua posizione, sin dal Contra Academicos Agostino critica la posizione scettica nella ricerca della verità, volgendosi a un probabilismo che non esclude la possibilità di trovarla. E infatti egli stesso trova o meglio è trovato dalla verità.
Sulla base della fede cristiana, del credere, il comprendere la verità può convertirsi ad approfondimenti nuovi, propri a una filosofia cristiana, vera filosofia, capace di intelligere il vero. In parte su questa linea, benché segnato da una maggiore rivisitazione dell’aristotelismo, d’Onofrio colloca anche Boezio, il quale separa l’intellezione degli universali dalle cose sensibili, pur collocandone la realtà nelle cose corporee. Vi è un’oggettività interiore, propria alle facoltà conoscitive umane, vera a prescindere da corrispondenze realistiche con l’ordine delle cose materiali, fatta quindi di pura spiritualità del soggetto conoscente. La dialettica viene allora elevata da Scoto Eriugena a disciplina veritativa, non meramente retorica, creata da Dio nella natura delle cose e in specifico nell’intelletto umano. Pur potendo l’uomo elevarsi verso l’Uno, sino a divinizzarsi, tuttavia resta egli ignorante rispetto alla Divinità stessa e alla sua creazione, la verità della quale deve essere indagata col ricorso alla Scrittura, nell’autorivelazione biblica di Dio.
È tuttavia solo con Anselmo, secondo d’Onofrio, che l’intrinseca razionalità della verità della fede cristiana viene non solo riconosciuta e infinecontemplata come un mistero, come accade da Agostino a Scoto Eriugena, ma fatta valere autonomamente, a prescindere dal credere stesso. La forza dell’argomento anselmiano sta proprio in questo, nella dimostrabilità dell’esistenza di Dio dalla mera formulazione mentale, che lo definisce come ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore.
La profonda verità di questa tradizione di pensiero, offuscata dal principio peripatetico-aristotelico della homoíosis, che individua la verità nella adequatio rei et intellectus, nell’adeguamento dell’intelletto conoscente alla cosa oggettiva, verrà infine riscoperta e approfondita da Cusano. Grazie a una concezione congetturale della verità, che mantenendone l’unicità e trascendenza ne permette tuttavia una comprensione partecipativa, risulta tutt’oggi il più convincente modello di pensiero per affrontare le conflittualità fra diverse religioni e culture, al di là di relativismi o fondamentalismi entrambi assolutisti, riduttivi, unilaterali.
Giulio d’Onofrio, VERA PHILOSOPHIA, Città Nuova. Pagine 384. Euro 45