La vera giustizia
Nei confronti del prossimo, della comunità cui apparteniamo, ci si comporta da giusti quando le relazioni sono armoniose, pacifiche e solidali, e ogni persona si mostra “fedele, leale e costruttiva”[1] verso i membri della sua comunità.
Quando il prossimo è un altro essere umano, è colui che incontriamo o che ci sta accanto, la giustizia si manifesta in un atteggiamento di reciproca attenzione e premura. È l’atteggiamento del buon Samaritano descritto da Gesù nell’omonima, famosa parabola, in risposta a un uomo che, dopo averlo sentito esortare ad amare il prossimo, non senza qualche intento polemico e di auto-giustificazione, gli aveva chiesto bruscamente, “E chi è il mio prossimo?”:
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Il gesto del samaritano, descritto nel Vangelo e commentato da Gesù, è lo stesso che vediamo nell’opera Samaritano dell’artista americano Eric Fischl: un uomo magro e nudo, ridotto all’essenziale, si china a raccogliere un altro uomo, prostrato e sfinito come il viandante della parabola. Il soccorritore sembra inarcarsi in modo esagerato, quasi a dire la fatica di arrivare all’altro, di tirarlo a sé prendendolo per le braccia, di sostenerlo. Un gesto antico che esprime bene la pietas che lo muove.
Entrambi nudi, i due uomini sono privi di qualsiasi identità; neppure il sesso è definito, perché non significa nulla, non ha alcuna importanza come è irrilevante ogni loro appartenenza. Ciò che conta è il rapporto che si instaura fra due esseri umani, uno in una situazione di grande fragilità e pericolo, l’altro teso nello sforzo compassionevole di aiutarlo. Dal corpo del soccorritore emana una leggera luce dorata; quello del ferito, invece, è opaco, tranne che per alcune tracce di luce sulla sommità del capo: è come se il primo, sollevandolo a sé, lo stesse riportando vicino a una sorgente di calore, di luce, di vita.
L’uomo assalito dai briganti si trova sul crinale tra la vita e la morte, la sua salvezza dipende dall’incontro con qualcuno che gli vada vicino (la prossimità è la distanza giusta) e, guardandolo, veda la sua condizione, si metta nei suoi panni, ne abbia compassione e lo aiuti.
Gli esegeti di questa parabola evangelica vedono nel soccorritore Gesù e nel ferito l’uomo tout-court; siamo anche noi sul crinale tra la vita e la morte, come il samaritano, la sua storia si è ripetuta infinite volte.
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L’uomo di Fischl, proteso nello sforzo di sollevare l’altro, esprime con il suo gesto tutto ciò che si può dire soltanto con un infinito numero di parole. La compassione si manifesta nei gesti: in quello eclatante di salvare una vita come in quelli delicati con cui si protegge la dignità ferita dei propri simili.
La compassione è nel sorriso e nella cortesia di un’anziana, piccola signora che ho visto prendere un gambo di sedano dalle mani di un giovane gigante nero, che in cambio di una moneta le metteva la spesa nel baule dell’auto; quel gambo di sedano era diventato un fiore stupendo, un omaggio degno di una regina, e la signora lo ha accettato proprio con la grazia di una regina, trasformando quel povero in un cavaliere. Vedendo quella scena si percepiva che stava accadendo qualcosa di giusto, nel senso biblico di cui abbiamo parlato più sopra, si coglieva una relazione, brevissima ma perfetta, tra due esseri umani, il giusto modo di rapportarsi tra una donna e un uomo, un anziano e un giovane, un ricco e un povero.
L’uomo giusto è l’uomo compassionevole, l’uomo che ha occhi per vedere, che si ferma per aiutare, che guarda l’altro con franchezza e sa che ha di fronte qualcuno che ha la sua stessa natura, che ha pari importanza, uguali sentimenti.
I cristiani vedono nell’altro, in colui che ci sta di fronte – non importa chi sia né come sia – un uomo che è stato riscattato da Dio stesso, a prezzo del sangue dell’unico Giusto, suo figlio.
Per coloro che credono, la giustizia di Dio non si manifesta nella distribuzione di premi e castighi ma coincide con il suo piano di salvezza, con “il compito regale che Egli esercita liberando i deboli, gli oppressi, i poveri. Dio è giusto perché aiuta, è benevolo e misericordioso, libera e dà vittoria, salva e rende capaci di giustizia”[2]. Chi condivide la concezione biblica crede che l’uomo abbia in sé qualcosa della natura di Dio e perciò sia tanto più giusto quanto più assomiglia a Dio, quanto più è benevolo, misericordioso, libero e liberatore, solidale, fedele, capace di adirarsi di fronte al male[3].
Ma tutti gli uomini, credenti e non credenti, capaci di porsi in modo veramente umano di fronte ai propri simili, sanno che senza compassione non può esserci alcuna giustizia, ma solo autodistruzione, sterminio, barbarie.
Dal libro: Con occhi diversi, arte e relazioni umane di Michela Dall'Aglio Maramotti (Città Nuova, pp. 120; € 16,50)
[1]Cfr. la voce Giustizia, in P. Rossano, G. Ravasi, A. Ghirlanda (a cura di), Nuovo Dizionario di Teologia Biblica, San Paolo, Milano, 1988.
[2]Cfr. la voce Giustizia, Nuovo Dizionario, cit.
[3]L’ira di Dio,di cui tanto spesso parla la Bibbia, si scatena ogni volta che l’essere umano tratta ingiustamente il suo prossimo; essa esprime la sofferenza di Dio davanti alla durezza del cuore dell’uomo, incapace di usare misericordia e dipraticare la giustizia. L’ira di Dio è frutto dell’amore e della passione divina per l’umanità; il suo scopo non è distruggere, ma provocare un cambiamento nel comportamento umano. Cfr. Abraham J. Heschel, Il messaggio dei profeti, Borla, Roma, s.a. (or.1962).