La vera forza della Chiesa è la debolezza

Milioni di persone convergono a Roma per festeggiare un evento unico nella storia: due papi che canonizzano due altri papi. Le parole di Francesco e il patrimonio delle piaghe dei fedeli
Piazza San Pietro

«Le piaghe di Gesù sono scandalo e verifica della fede… Le piaghe rimangono, segno permanente dell'amore di Dio». Così papa Bergoglio nell'omelia per la cerimonia di canonizzazione di due suoi illustri predecessori, Roncalli e Wojtyla, con la concelebrazione del suo diretto predecessore Ratzinger, “colui che si dimise”.

Quelle piaghe che, girando per una Roma umbratile ma bellissima, occupata da milioni di persone convenute per il grande evento, sono evidenti. Nella carne dei fedeli e dei meno fedeli: la disabilità, il kitsch di tante ostentazioni cultuali, la “piccolezza” di tanta gente umile, il bisogno di un abito stiratissimo per sentirsi qualcuno, il bisogno di certezze per credere… La debolezza è evidente nella folla che prega in silenzio, che guarda i maxischermi, che alza le mani al cielo, che sbocconcella un panino, nei giovani che chattano, nei vecchi che si trascinano, negli adulti che tengono per mano quattro, cinque marmocchi. Il popolo. Il popolo di Dio, per amore di Dio.

I commenti mediatici sulla cerimonia di piazza San Pietro, un unicum credo irraggiungibile, giustamente mettono l'accento sulla forza dimostrata dalla Chiesa in quest'occasione. Riccardi, Ruini, Veneziani, Battista, Bianchi… Tutti scrivono commenti che manifestano il malcelato orgoglio cattolico di scoprire un'adesione inimmaginabile ai messaggi dei papi, dei vescovi di Roma. Potenza terrena della Chiesa? Sì, c'è chi ci crede e opera al riguardo. Ma la Chiesa di papa Bergoglio, di Ratzinger,
di Wojtyla e Roncalli è soprattutto una Chiesa di misericordia e amore, anche quella di Benedetto XVI, checché se ne dica.

Non a caso Bergoglio ricorda Roncalli come una «guida guidata dallo Spirito Santo», e ne elogia la docilità allo stesso Spirito. Mentre ricorda Wojtyla come «il papa della famiglia». A ben guardare, due caratteristiche certamente forti, ma proprio perché nate dalla consapevolezza della irriducibile debolezza umana. Con Paolo bisogna ripetere che si è forti quando si ha la coscienza di essere deboli.

La Chiesa del 27 aprile 2014, a Roma, riunita attorno al suo vescovo attuale, è forte perché è debole, perché fa delle sue debolezze le proprie armi, perché «sempre spera, sempre perdona perché sempre ama», come chiosa lo stesso Francesco. Una Chiesa in uscita, volta verso le periferie esistenziali e le sue piaghe.

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