La Turchia chiude Twitter
La Turchia chiude Twitter. Il premier Erdogan lo aveva già annunciato: «Estirperemo Twitter, non mi interessa cosa dice la comunità internazionale, è contro la sicurezza nazionale. C’è una sentenza del tribunale. Vedranno la forza della Turchia».
Il social network, che proprio oggi festeggia 8 anni, è colpevole di aver fatto circolare in rete alcune intercettazioni telefoniche che coinvolgerebbero il premier nello scandalo corruzione che sta travolgendo gran parte dei vertici delle istituzioni turche.
La crociata anti social di Erdogan non è invenzione di ieri (alcune settimane fa aveva minacciato di bloccare anche Facebook e Youtube), ma è decisamente la strategia meno lungimirante che un leader politico possa portare avanti per arginare il potere sociale del web.
È risaputo (o dovrebbe esserlo) che qualsiasi tipo di censura si tenti di applicare alla rete, non farà altro che alimentare l’interesse attorno a quel fatto con devastanti effetti mediatici che si ritorceranno sul Catone di turno. Il blogger statunitense Mike Masnick ha coniato l’espressione effetto Streisand per descrivere il fenomeno. Ma si riferiva al tentativo di far sparire “qualcosa” dalla rete (nel caso della popolare attrice, alcune foto della sua casa di Malibu postate per documentare l’erosione della costa californiana).
Erdogan, per far sparire delle intercettazioni, ha deciso addirittura di attaccare il più popolare sito di microblogging al mondo. Deve essere molto sicuro delle sue capacità di affrontare i cicloni mediatici.
Altri politici, in passato, hanno fatto scelte diverse e, a ben vedere, più azzeccate per gestire le public relation digitali. Evgeny Morozov, nel suo, L’ingenuità della rete, racconta l’abile piano messo a punto dal governo cinese per sedare una cyber rivolta esplosa dopo la morte, in carcere, di un contadino arrestato per aver tagliato degli alberi senza permesso. Anziché cancellare le centinaia di migliaia di messaggi contenenti accuse di insabbiamento della verità inviati alla polizia locale, le autorità hanno proposto agli internauti di trasformarsi in piccoli Sherlock Holmes 2.0 per aiutarli nelle operazioni di ricerca per far luce sui fatti.
La commissione così formata non ha prevedibilmente prodotto alcun risultato se non quello di sciogliere la tensione e dare uno zuccherino alle rabbiose folle digitali che minacciavano rivolta. Di questa vicenda, a Erdogan, potrebbero tornare utili le dichiarazioni del funzionario che allora gestì il caso: «ogni problema che riguarda l’opinione pubblica di Internet deve essere risolto con i metodi di Internet», vale a dire, chiosa Morozov, con decisioni aperte e decentralizzate. È un bel bagaglio di retorica social di cui nessun politico oggi può più fare a meno. E che tanti cittadini farebbero bene a non dimenticare.