La Turchia alla prova del voto
Un'analisi del panorama politico turco e dei maggiori partiti in campo. Intervista a Fatma Demirelli, caporedattore del quotidiano Today’s Zaman
Se si parla di 12 giugno al pubblico italiano la prima cosa che viene in mente è il referendum. Se si parla di politica internazionale dei vicini paesi a maggioranza musulmana nell’area mediterranea, il pensiero corre subito alla Libia e alla Siria. Eppure il 12 giugno è anche la giornata delle 17° elezioni generali in Turchia. Fatma Demirelli, caporedattore di uno dei due principali giornali turchi in lingua inglese, Today’s Zaman, risponde a qualche domanda in attesa del voto.
Le elezioni si stanno avvicinando. Qual è il sentimento generale?
«Essendo le elezioni previste per questa domenica, 12 giugno, ovviamente il tema sta tenendo occupate la stampa e la televisione. Pur essendo in molti ad aspettarsi una vittoria dell’AKP (Partito per la giustizia e lo sviluppo), non si sa davvero quanti seggi otterrà. Il numero dei seggi è importante perché l’AKP è intenzionato a riscrivere la Costituzione e, nel caso in cui vincesse la maggioranza dei seggi parlamentari, potrebbe farlo senza passare attraverso negoziazioni con l’opposizione».
Quali sono i principali partiti coinvolti e le più importati tematiche discusse?
«L’AKP è al potere dal 2002 e, secondo le proiezioni, ci si può aspettare che ottenga un 40 per cento dei voti. Il principale partito dell’opposizione è il Partito repubblicano del popolo (CHP) con il suo nuovo leader, Kemal Kılıçdaroğlu, che sembra aver allargato il bacino di influenza del partito abbandonando la retorica del suo predecessore fondata sul coltivare le paure laiciste della popolazione che teme la distruzione da parte dell’AKP delle fondamenta secolari dello Stato turco. Kılıçdaroğlu ha invece preferito insistere nella sua campagna su temi sociali ed economici come la disoccupazione e la corruzione. Le proiezioni lo danno al 30 per cento. Il Partito del movimento nazionalista (MHP) sta invece lottando per arrivare al 10 per cento di voti che gli permetterebbe di entrare in Parlamento mentre il principale partito curdo, il Partito della pace e della democrazia (BDP) sta sostenendo alcuni candidati indipendenti cosciente di non avere la possibilità di arrivare alla famosa soglia del 10 per cento».
Quali sono i punti di forza dell’AKP e le maggiori critiche che gli vengono avanzate dopo otto anni passati al potere?
«Il principale punto di forza dell’AKP è la crescita economica che è stata raggiunta grazie agli otto anni di politiche favorevoli. Il governo è riuscito a portare una stabilità economica e a ridurre il tasso di inflazione. È altresì riuscito ad aumentare l’influenza della Turchia in Medio Oriente e nel resto del mondo. Una delle maggiori critiche che invece è stata mossa al partito attualmente al potere riguarda la detenzione di militari, accademici e giornalisti collegati in qualche modo alle indagini sui tentativi di colpi di stato militari. Molte persone affermano che le indagini sono una maniera per intimidire e ridurre al silenzio l’opposizione. Per alcuni questi sono segni dello sviluppo di tendenze autocratiche da parte dell’AKP che una maggioranza parlamentare schiacciante non farebbe che aumentare».
Secondo lei, quale sarà l’influenza della situazione instabile in Nord Africa e Medio Oriente sulle elezioni in Turchia?
«È vero che c’è stato un calo di fiducia nella capacità del governo di influenzare l’evoluzione della situazione nell’area nordafricana e mediorientale soprattutto quando il primo ministro Erdoğan ha dimostrato una certa incostanza nel rispondere alle rivoluzioni – chiedendo a Mubarak di dimettersi e evitando di farlo con Gheddafi – tuttavia credo che l’effetto dei recenti sviluppi nella regione sarà molto limitato nel contesto delle elezioni».