La Tunisia rischia di fallire, l’Europa si preoccupa di fermare i migranti
Dopo il dramma di Cutro, con 100 migranti morti (91 accertati, 9 dispersi), più di un terzo bambini, soprattutto afghani, pakistani, iraniani e siriani (chissà come mai proprio da quei Paesi?) provenienti dalla Turchia, adesso il focus si è spostato sulla Tunisia, il vicino Paese nordafricano che sta conquistando il primato delle migrazioni cosiddette “clandestine”, come se esistesse per quelle persone un modo legale per fuggire dalla povertà, dalla fame e dalla violenza. Fuga soprattutto verso l’Europa, beninteso, perché l’Italia è solo il primo approdo.
Il problema è realmente serio: la Tunisia rischia il default come stato entro i prossimi 6-9 mesi, con un’inflazione generale al 10,4% e quella sui beni alimentari al 15,6% (con scomparsa a singhiozzo di prodotti come latte, olio, riso, zucchero e con molti problemi per il grano); una disoccupazione ben oltre il 15%; un debito pubblico che ha superato i 34 miliardi di euro, vale a dire il 100% del Pil. Ma non è tutto qui.
Secondo il presidente tunisino Kais Saied, eletto nel 2019 ma rivelatosi poi di fatto autore di un colpo di Stato, sarebbe in corso una trama internazionale per favorire gli ingressi clandestini in Tunisia di migliaia di africani del Sahel subsahariano, con lo scopo di alterare l’identità della popolazione autoctona. Saied si è attribuito dal 2021 ampi poteri costituzionali, ha congelato e poi abolito il Parlamento, ed ha approvato, con un referendum al quale ha partecipato per protesta solo il 10% degli elettori, una Costituzione di tipo islamista (ma anti Fratelli musulmani) praticamente centrata sulla sua persona e sui poteri del presidente.
L’aumento enorme di migranti (africani, subsahariani e tunisini) provenienti dalla Tunisia ha messo in allarme non solo il Governo italiano, ma la stessa Unione europea. Negli ultimi 3 mesi sono sbarcate complessivamente in Italia circa 20mila persone, 12mila delle quali provenienti dalla Tunisia. Ma la guardia costiera tunisina avrebbe impedito ad altre 14 mila persone di imbarcarsi per l’Italia. Negli stessi mesi in Grecia ne sono arrivate 3.216 e in Spagna 3.852. In Italia, senza troppo soffermarsi sulle cause di questa ondata migratoria, è stata partorita una ricetta preoccupata di fermare i migranti, ricetta che pare non comprendere l’ultima bizzarra “teoria” del ministro degli Interni Piantedosi secondo il quale la colpa di questa situazione sarebbe soprattutto l’adesione che raccoglie in Italia un’opinione pubblica eccessivamente favorevole alle persone in fuga da povertà e violenza. In questo clima, secondo il ministro, sarebbe difficile attuare severe politiche di blocco e respingimento nei confronti dei migranti clandestini che si abbattono a carrettate (e gommonate) sulle nostre coste. Come se la colpa del fenomeno migratorio fosse dei troppi italiani dal cuore tenero, e il numero degli arrivi, in crescita esponenziale, dipendesse solo da norme non abbastanza severe per bloccarli.
Dopo aver attuato una criminalizzazione e messa al bando dei migranti africani già presenti in Tunisia (scatenando ritorni disperati nei Paesi di origine e aumento dei tentativi di raggiungere Lampedusa e la Sicilia), Saied si è visto anche per questo rifiutare dal Fondo monetario internazionale (Fmi) un prestito di salvezza per l’economia tunisina del valore di 1,9 miliardi di dollari.
A questo punto è intervenuto, tra gli altri, anche il commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, che lunedì 27 marzo, anche su pressione italiana, ha raggiunto Tunisi dove ha avuto un colloquio con Saied ed altri ministri per cercare di mediare fra il Governo tunisino e l’Fmi, tentando di trovare una soluzione per riaprire la trattativa e la concessione del prestito, aggiungendo altri aiuti da parte del Governo italiano. La richiesta del Fmi, che condiziona la concessione del prestito, è l’impegno tunisino ad attuare riforme strutturali e democratiche. Cose che Saied si dice non in grado di realizzare.
A peggiorare in qualche modo le cose ci si è messo anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, che ha detto in una intervista (e analogamente in Parlamento): «Sono due mesi che stiamo dicendo, in tutti i tavoli internazionali, quello che sta per accadere: dobbiamo aiutare la Tunisia con finanziamenti da parte di Fmi e Banca mondiale, dando almeno i primi aiuti in attesa delle riforme e di una verifica dei passi avanti. Ormai è un cane che si morde la coda, l’emergenza finanziaria alimenta quella dei migranti». E fin qui discorso accettabile, ma Tajani ha anche aggiunto: «Tutti si stanno muovendo, non commettiamo l’errore di lasciare la Tunisia ai Fratelli musulmani». Questa battuta forse ce la poteva risparmiare, anche perché sembra proprio giustificare il sostegno ad un dittatore in nome di una ideologia, ma ignorando (volutamente?) i molti e complessi motivi che alimentano le migrazioni, Saied compreso.
L’offerta italiana di aiuto comprende motovedette e droni per il controllo delle frontiere marittime, e addestramento delle forze di sicurezza locali. Déjà vu, insomma: vedi Tripoli, che non è certo un successo, senza contare i lager che la guardia costiera libica favorisce. E lo dice l’Onu, non tanto l’opposizione che a suo tempo aveva addirittura aperto la strada. E per quanto riguarda il prestito Fmi, che non si sa cosa dovrebbe salvare, ricorda una analogia anche peggiore, quella dei miliardi di euro alla Turchia da parte dell’Ue, finalizzati a bloccare oltre un milione di profughi siriani e mediorientali, in buona parte aspiranti alla migrazione. Un accordo che fra parentesi sorvola tranquillamente le connessioni turche (e qatarine) proprio con i Fratelli musulmani. Cosa non si farebbe per bloccare i migranti “clandestini”! Poco importa se “migrano” per guerre e disastri socioeconomici e ambientali ai quali l’Italia non sarebbe sempre estranea.
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