La tromba di Haydn

All'Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma risuona il talento del giovane Omar Tomasoni.
omar tomasoni

All’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma, Omar Tomasoni, nemmeno 26 anni, è già “prima tromba”. Il giovane bresciano lo è già stato anche dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino. Suona la tromba con una eleganza, un misura, un senso della melodia (ed una tecnica) raro nei solisti di questo difficile strumento , dove si può “scrocchiare” (prender male un attacco) con facilità.

 

Omar interpreta uno dei pezzi forti per lo strumento, il Concerto in mi bemolle maggiore per tromba e orchestra di Franz Joseph Haydn, anno il 1796. Mozart è morto già da cinque anni, Beethoven ha 26 anni e si sta affermando come pianista. Il vecchio Haydn (è nato nel 1732) non perde un colpo, però. Il concerto non è un capolavoro di ispirazione, ma di virtuosismo e di linearità compositiva, questo sì. L’Allegro iniziale è deciso e leggiadro, l’Andante melodico, il Finale è uno scoppio di fuochi artificiali, di piroette musicali. La tromba di Tomasoni sa misurarsi con i pianissimi, i mezzoforti e le vette squillanti con un perizia tecnica straordinaria; ma anche una grande sensibilità nel fraseggiare curve melodiche, nel “legarle” con fiati lunghissimi, per poi impennarsi nella gioia esplosiva del Finale. Si sente che il brano è suonato da un giovane non solo per la forza e la resistenza fisica- dura solo un quarto d’ora, ma che quarto d’ora! – ma per l’entusiasmo. La maturità precoce tuttavia è nella misura e nella gioia così tipiche di Haydn che lo rendono nostro contemporaneo e che Tomasoni coglie nel modo giusto.

 

Poi, al pubblico, per riposarsi – si fa per dire – Antonio Pappano passa da direttore-accompagnatore egregio a primo conduttore dell’orchestra ceciliana in due brani distanti fra loro nel tempo, ma non nell’intensità. Il primo è la celebre Musica per archi, celesta e percussioni di Bartòk (1936) che dall’Andante tranquillo iniziale, pieno di una pace sovrumana, scivola come una brace sotto la cenere nel conclusivo Allegro molto, una sarabanda percussionistica fortemente espressiva: è il mondo di Bartòk, primitivo e ipersensibile, femminile e selvaggio allo stesso tempo. Poi, Pappano chiude ancora con Haydn e la sua ultima sinfonia, la numero 104(!) pomposa, scritta per Londra e già prebeethoveniana sotto molti aspetti. Luce e colore. L’orchestra sfavilla e il pubblico applaude.

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