La trincea di Taranto e i cattolici italiani
“Siete venuti in una trincea”, il sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, ha messo da parte il discorso scritto per salutare l’inizio della Settimana sociale dei cattolici italiani che ha iniziato i suoi lavori con un tour de force di 5 ore di programma ininterrotto nel pomeriggio di giovedì 21 ottobre 2021 con la guida del vescovo Filippo Santoro, presidente del comitato scientifico che ha organizzato l’evento.
Il riferimento alla trincea si collega alla “buona battaglia”, come dice Melucci citando Paolo di Tarso, che gli abitanti conducono da decenni contro un grave inquinamento ambientale tollerato per lungo tempo come prezzo del progresso e ancora negato da qualcuno nonostante le evidenze dei dati scientifici e della medicina.
Ovviamente i tarantini non vogliono che il loro territorio sia associato solo alla questione dell’ex Ilva perché l’antico approdo nel Mediterraneo ha il suo fascino storico e naturalistico. Arrivando in città, infatti, non si può non rimanere incantati dal fascino del blu dei due mari, quello piccolo e grande, che l’avvolgono. Ma non si può a distogliere lo sguardo su quelle ciminiere che segnalano da lontano la presenza di un enorme stabilimento siderurgico che può essere paragonato alle grandi opere dell’economia sovietica costruite per vincere la sfida con il rivale occidentale.
In questa area del Paese la competizione da affrontare, grazie ai notevoli investimenti dello Stato, è stata, nel balzo della crescita del dopoguerra, quella contro il sottosviluppo del Mezzogiorno. Una piaga non sanata dai tempi dell’unificazione nazionale e che una certa idea di progresso ha pensato di curare con l’industria pesante come la siderurgia e lo sfruttamento delle fonti energetiche, ora al centro di un auspicato processo di transizione ecologica dai molti ostacoli.
Il paziente e variegato popolo delle diocesi italiane è anch’esso in una lenta fase di transizione verso un cammino sinodale che non è tante cose, parlamento o assemblea, ma sicuramente vuole essere, almeno nelle intenzioni, lontano dai modelli gerarchici dove si decide tutto dall’alto. Si tratta di riprendere il grande esperimento tentato con il convegno Evangelizzazione e promozione umana nel 1976, in un tempo ancora legato ai fermenti conciliari in un’Italia scossa da un forte conflitto sociale dove, come ha ricordato il cardinal Bassetti, presidente della Cei, introducendo l’incontro di Taranto, si trattava di ricomporre una frattura tra mondo del lavoro e Chiesa come esplicitamente affermato da Paolo VI nella visita alla ciclopica struttura siderurgica.
Oggi un intero quartiere che porta il nome di quel papa è tra i più esposti ad un inquinamento che mette in agitazione i genitori quando i loro figli lamentano un problema di respirazione o un dolore acuto in una parte del corpo. È difficile mantenere lo sguardo sulle immagini dei volti dei troppi bambini e bambine, issati con foto giganti dai loro familiari durante le tante manifestazioni, che hanno perso la vita in questi anni a causa della presenza di sostanze inquinanti provenienti non solo dall’acciaieria ma da un insieme di attività produttive (cantieri della marina militare, cementifici, raffinerie, ecc.) che inevitabilmente insistono su un territorio definito strategico sul piano bellico ed economico.
Se un processo penale di primo grado ha messo in evidenza le gravi responsabilità del gruppo Riva e se i più recenti acquirenti del sito, gli indiani di Arcelor Mittal, si sono distinti per un’assenza di dialogo con la città, non tutto si può spiegare con la ricerca di profitto senza scrupoli da parte dei privati. Gli effetti di lungo termine dell’inquinamento risalgono anche al periodo della proprietà pubblica dell’Italsider, quando la città cresceva nella popolazione e il reddito medio delle famiglie era simile a quelle del Centro Nord della Penisola.
E ora che il controllo del complesso industriale è tornato di fatto nelle mani dello Stato, con il progressivo controllo del 60% del capitale di Acciaierie d’Italia, come si eserciterà la responsabilità sociale dei suoi amministratori capitanati da Franco Benabè?
Il famoso manager, che ha determinato parte della storia industriale del Paese, non è presente nelle Settimane sociali ma nell’incontro iniziale dedicato alla situazione di Taranto è intervenuto Stefano Franchi, direttore di Federmeccanica di Confindustria, per confermare l’importanza strategica dell’acciaio, e quindi dello stabilimento di Taranto, nella nostra economia in pieno accordo con Luigi Sbarra, segretario generale della Cisl. La tesi proposta è quella di una possibile e ormai realizzazibile decarbonizzazione dell’ex Ilva grazie ai finanziamenti provenienti dall’Unione europea. Un intervento salvifico in termini monetari che, come sappiamo, non consiste solo in sussidi gratuiti ma in prestiti destinati a pesare sul debito pubblico. Soldi, quindi, da investire bene. Ma nell’incontro non si è entrati nel dettaglio dell’intervento previsto, il tipo di idrogeno che si potrà e vorrà utilizzare (il verde da fonti rinnovabili, il blu da gas o cosa?) e per quale volume di produzione di milioni di tonnellate di acciaio all’anno.
Assenti sul palco la voce delle realtà di cittadinanza attiva da tanti anni in campo ambientale sul territorio tarantino anche se spesso in conflitto tra loro. Sono state evocate con una battuta sulla “decrescita infelice” da Sbarra ma esse sono in realtà portatrici di proposte concrete e alternative da conoscere per poter esercitare un vero discernimento su una realtà descritta con grande competenza e passione da Annamaria Moschetti, presidente della commissione ambiente dell’Ordine dei medici di Taranto.
La Moschetti non ha avuto mezzi termini nell’affermare che «tutto l’acciaio del mondo non vale la vita di un bambino» morto di tumore per la presenza di sostanze tossiche causate da una gestione irresponsabile dell’attività industriale. La rappresentante dei medici tarantini ha chiesto l’interruzione immediata, ad esempio, di tutte le attività che rilasciano il furano, una sostanza neurotossica che compromette seriamente la salute degli esseri umani, soprattutto dei più piccoli. Un intervento chiaro che evangelicamente è destinato a chi ha orecchie per intendere e non sviare la domanda che non ammette tentennamenti: per quanto tempo ancora sarà possibile tollerare questo stato di cose per cui, ad esempio, in certi quartieri della città, nei giorni di vento, il sindaco è costretto a chiudere le scuole? Sempre dalla dottoressa Moschetti, intervistata sul palco dalla brava Gabriella Facondo di Tv2000, è arrivata poi la risposta sulle altre attività da far crescere a Taranto in alternativa all’acciaieria e lo ha fatto citando un intervento fatto a suo tempo da Giovanni Paolo II ai lavoratori dell’Ilva.
Materiale da esplorare per la futura agenda di lavoro comune che dovrà uscire dopo questa settimana sociale assieme alla linea prevalente che sembra emergere dal comitato scientifico per un intervento di risanamento industriale sul modello delle città del Nord Europa.
Alle mamme e papà di Taranto è arrivato anche un messaggio pieno di affetto (“mando una carezza”) da parte di papa Francesco assieme ad alcune indicazione concrete per i lavori della Settimana sociale come l’invito a non fermarsi, cedendo alla rassegnazione, ma di osservare il segnale di “obbligo di svolta” ascoltando il grido della terra e dei poveri. Proposte che diventano più chiare ed esplicite nel recente messaggio ai movimenti popolari che contiene tracce operative utili per i cattolici italiani riuniti a Taranto dove hanno ascoltato tre esperienze relative al grido della Terra provenienti dall’Amazzonia, con la testimonianza di Lucia Capuzzi di Avvenire, dal Nord Italia, con l’intervento di Anna Maria Panarotto delle mamme NoPfas del Veneto, e dal Meridione, con l’aggiornamento drammatico sulla Terra dei Fuochi da parte del combattivo parroco Maurizio Patriciello.
Tre casi emblematici, luoghi teologici come ha detto Capuzzi per l’Amazzonia, che rimandano a responsabilità politiche dirette a livello internazionale e nazionale. Questioni che, oltre alla denuncia spesso inascoltata, richiedono interventi seri di politica economica e ambientale. Come ha fatto notare ad esempio Patriciello, esistono casi di pentimento tra i camorristi per il disastro ambientale in Campania ma non da parte degli imprenditori del Nord in combutta con le mafie.
Così il caso dell’inquinamento da Pfas delle falde acquifere del Veneto, destinato a propagarsi oltre i confini regionali, richiede di superare l’ostacolo delle lobby industriali a porre severi limiti di legge alla presenza di sostanze chimiche dannose nell’acqua.
L’ex presidente di Legambiente, Ermete Realacci, ex parlamentare promotore della legge sugli ecoreati e ora presidente di Symbola, ha offerto per finire l’esempio di buone pratiche ambientali adottate da molte aziende che ne hanno tratto giovamento per crescere sul mercato. Un messaggio positivo che Realacci ha suggellato con il riferimento al cambiamento avvenuto nell’Enel, sotto controllo pubblico, con la gestione di Francesco Starace che punta sulle fonti rinnovabili al posto di quelle fossili. Un esempio proponibile per Acciaerie d’Italia?
Come sempre si tratta di capire la sostanza di tali esempi. Se sono cioè marginali oppure tali da contribuire ad un cambiamento strutturale non più rimandabile.