La trilogia pasquale nelle opere del Tintoretto
Un artista irregolare, un veneziano credente, sincero, nell’età del postconcilio tridentino. Jacopo Robusti, detto il Tintoretto, carattere vulcanico, ha dipinto soprattutto scene sacre, disseminando tele enormi a Venezia, in modo particolare. Una religiosità non cupa, ma dinamica, fatta di chiaroscuri forti, di pennellate zigazaganti come fantasmi: un teatro dell’emozione sacra. Non c’è solo talento artistico, c’è una spiritualità profonda imperniata su Cristo re, che trionfa sulla morte come luce e vita, sottesa anche nelle scene del dolore. Tre opere sue possono venire contemplate durante il Triduo pasquale.
Ultima cena (1592-94, Venezia, San Giorgio Maggiore).
Il soggetto più rappresentato dal pittore è qui nell’ultima versione, poco prima della morte. È il paradiso in terra che si presenta durante la prima Eucarestia. Cristo irradia luce mentre la distribuisce ai discepoli nella sala veneziana con i servi che preparano la cena pasquale. Dall’ombra salgono gli angeli-fantasmi, voci dello Spirito che brucia dal grande lampadario sul soffitto, spargendo fiotti luminosi sui discepoli. Miracolo e realtà si fondono insieme, luce umana e luce soprannaturale convergono dal Cristo e dallo Spirito in alto, fanno danzare gli angeli sopra gli uomini, ignari del paradiso che è sceso fra loro grazie al Redentore, le cui spalle piegate nell’attesa della croce sono curve nel gesto estremo dell’amore.
Crocifissione (1565-6t7, Venezia, Scuola Grande di San Rocco).
Immensa, la tela riassume i singoli episodi sul Calvario come un teatro dell’amore-dolore ricco di speranza. Il Cristo, re solo sulla croce, “abbraccia” l’umanità al di sotto. Guarda Giovanni che lo fissa indicandogli Maria svenuta, salva il ladrone buono già sollevato in croce con sguardo supplichevole, mentre il cattivo sta a terra per essere crocifisso. Sulla destra, il silenzio dei Giudei a cavallo, a sinistra il centurione indica “quest’uomo era un figlio di Dio”. Lontano, Gerusalemme è un fantasma nel vento che soffia tra le piante, sotto il cielo minaccioso. Concitazione, dolore, dramma dell’uomo e della natura. Cristo, gigante appena ferito, è avvolto già dalla luce della resurrezione. Ma è dalla croce, sotto la quale si slarga un bagliore, che nasce la speranza oltre il dolore.
Resurrezione (1578-81, Venezia, Scuola Grande di San Rocco).
È in una esplosione di luce che Cristo esce dal sepolcro, avvolto di rosa come aurora della nuova creazione, la destra benedicente, la sinistra con l’asta della vittoria. Gli angeli hanno sollevato la pietra e il sole è risorto sul mondo, anche sul soldato addormentato. Lontano due donne avanzano nel chiarore, ma non vedranno l’attimo esplosivo della resurrezione, luce abbagliante, insostenibile all’occhio umano; mistero. Cristo giovane radioso, porta nel corpo i segni della passione, ma sono ferite piene di luce. La scena è tutta costruita per glorificare la Vita che ha vinto la Morte in un chiaroscuro potente da cui esce vittorioso lo splendore. Un Gloria pittorico a piena orchestra.