La tregua per il Ramadan: una via percorribile?

L'opinione del politologo Pasquale Ferrara sulla proposta lanciata su Città Nuova da mons. Martinelli
Il giorno del Ramadan

Dal sito di Città Nuova, il vescovo di Tripoli, mons. Martinelli, aveva lanciato una proposta addirittura alla Nato:una tregua per il mese sacro di Ramadan (nella foto)– che inizia il primo agosto – durante il quale, secondo la religione islamica, è vietato combattere. Uno stop alle armi che consenta di avviare trattative, oltre ad essere un segno di rispetto verso la fede della maggior parte dei cittadini libici. Una via percorribile? Lo chiediamo al nostro esperto, il politologo Pasquale Ferrara.

 

Monsignor Martinelli ha proposto una tregua per il mese di Ramadan: è un’opzione realistica?

«È una proposta da valutare, ma le operazioni militari seguono un’altra logica. Una soluzione più praticabile sarebbe una sospensione delle ostilità per il periodo necessario ad avviare un processo politico interno tra il governo di Bengasi e Gheddafi: il nucleo del problema, infatti, non è tanto militare quanto politico. Anche se l’ex leader non è stato sconfitto militarmente, la sua vicenda politica è giunta al termine: pertanto solo una soluzione politica può offrire una via d’uscita».

 

La Francia, però, sembra opporsi risolutamente a qualsiasi tipo di accordo…

«La posizione francese è coerente, avendo voluto l’intervento armato sin dall’inizio. L’intransigenza, però, non è soltanto di una delle due parti: sarà difficile arrivare ad una svolta senza un movimento anche da parte di Gheddafi».

 

In diversi Paesi occidentali sta crescendo il disagio verso l’investimento di risorse nell’intervento in Libia: le operazioni Nato potrebbero avere così un termine?

«Non credo, anche se indubbiamente, nelle condizioni attuali di ristrettezze economiche, le spese militari sono parecchio impopolari. Un intervento di questo genere può comunque essere condotto con diverse modalità: il problema non è tanto l’insufficienza di fondi, quanto la maggiore o minore volontà politica di impegnarsi in questo senso».

 

L’Unione Africana ha recentemente lamentato in sede Onu di non essere coinvolta nella risoluzione della crisi libica: è un soggetto che potrebbe dare un contributo determinante?

«L’Ua ha sempre sostenuto l’avvio del processo politico di cui parlavo, incontrando anche Gheddafi, che però aveva di fatto posto condizioni inaccettabili. La questione si colloca al livello più vasto di una maggiore responsabilità diretta dell’Ua per la risoluzione delle crisi in Africa: conduce già alcune missioni ad alto livello in diversi Paesi ed ha buone risorse in termini di peacekeeping, ma serve una maggiore volontà da parte dei Paesi occidentali di fornire le capacità gestionali e le competenze necessarie».

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