La Traviata di Valentino e Sofia

La Traviata di Verdi – in scena fino al 30 giugno al Teatro dell’Opera di Roma – è il frutto di un lavoro a due, ossia i costumi di Valentino e dei suoi amici Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccoli e della regia di Sofia Coppola, per la prima volta alle prese con l’opera lirica
La Traviata

È il caso di dirlo. La Traviata di Verdi – in scena fino al 30 giugno al Teatro dell’Opera di Roma – è il frutto di un lavoro a due, ossia i costumi di Valentino e dei suoi amici Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccoli e della regia di Sofia Coppola, per la prima volta alle prese con l’opera lirica.

 

Spettacolo garantito, successo quotidiano nelle numerose recite pressoché quotidiane, grande evento mondano alla prima ed anche in seguito: ieri sera c’era l’attore William Defoe, gentile a farsi fotografare negli intervalli da alcune spettatrici.

 

La messinscena rispetta la tradizione romantica: una grande scala prevista per la sfilata di Violetta con i costumi ora rosso sgargiante ora bianco pallido ora azzurrino ideati dallo stilista ed intorno – nelle scene di festa dei primi due atti ‒ coristi e comparse in abiti ottocenteschi, curati e perfetti, ma senza alcun orpello. Una volta tanto non abbiamo assistito a messinscene stravaganti o dissacratorie a cui siamo abituati grazie ai registi d’Oltralpe. Anche l’ultimo atto vede una grande stanza dominata dal letto della povera malata e null’altro. Sobrietà ed eleganza, con gusto.

 

La regista si è mossa con rispetto e si direbbe timidezza nei confronti di un capolavoro tanto popolare quanto inafferrabile. Ed ha fatto bene a non sbizzarrirsi a cercare significati reconditi in un’opera chiara e trasparente, dolente e luminosa storia d’amore quale essa è. Perciò ai cantanti è stato dato maggior spazio del solito e tempo per la musica, il che, oggi, non è affatto cosa scontata.

 

Se dunque lo spettacolo, grandioso e armonioso ha dato quel che ha promesso – un delizia per gli occhi i tableaux viventi delle scene d’insieme ‒, la parte strettamente musicale lascia degli interrogativi. Il soprano Maria Grazia Schiavo è attrice credibile, canta liricamente bene specie nel secondo e terzo atto, nonostante alcuni acuti poco riusciti e sforzati, il baritono Giovanni Meoni ha una voce bella e tonante, pur tendendo a “coprire” gli altri interpreti negli insieme (quartetto conclusivo), il tenore messicano Arturo Chacòn-Cruz è generoso, ha fiati lunghi, voce estesa anche se poco attenta alle sfumature e ai “pianissimi”: nel complesso si tratta di un cast accettabile ed impegnato. Purtroppo la direzione del giovane Jader Bignamini lasca a desiderare: tempi troppo diluiti, scarsità di colori, suono orchestrale talora pesante. La delicatezza e la brillantezza verdiana si trovano qua e là, per esempio nel preludio dell’ultimo atto, ma Traviata è un’opera che esige studio profondo, accuratezza e maturità: è un lavoro “lirico”, cioè di sentimenti.  Bignamini si è impegnato sicuramente, ma si avverte come l’orchestra abbia bisogno di un direttore stabile per rendere al meglio. Speriamo in Daniele Gatti, se così sembra stia per succedere in futuro.

 

Spettacolo comunque da non perdere, se non altro per lo splendore e l’accuratezza scenografica e costumistica, rari a trovarsi oggi.

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