La trascendenza dell’amore
Alla fine dell’articolo precedente parlavo della coltivazione costante dell’io e del noi raggiunti dall’amore. Se, a volte, per certi processi umani che necessitano di pazienza e umanità ricorriamo all’immagine dell’artigiano che lavora con cura un pezzo di materiale, in questo caso il modello più adeguato sembra essere quello dell’agricoltore che pianta, irriga, pulisce, pota un essere non inanimato, ma vivo. Visto in tutta la sua ampiezza, l’amore, in quanto fondamento di matrimonio e famiglia, mantiene unite la dimensione fisica associata a eros e la dimensione spirituale associata ad agape. Non di rado vediamo l’eros sospetto di ambiguità e impurità, mentre l’agape lo pensiamo adorno di trasparenza e purezza. Invece, come afferma il grande teorico dell’amore coniugale J. Bastaire: «Il piacere non è colpevole. Il tiranno non è lui, ma l’uomo malato che storna il piacere dalla sua fioritura normale e dalla sua soddisfazione legittima. Il calvario della sessualità oggi è che, portata alle stelle ogni momento, in realtà è schernita, imbrattata, avvilita fin nella sua sostanza». Siamo tutti coscienti della devastazione antropologica che da decenni sta producendo l’erotismo riduzionista con la sua equazione “amore = piacere”. Ciò non deve portare però alla demonizzazione del desiderio. In questo senso, trovo molto saggio il giudizio di W.G. Jeanrond: «L’interrogativo cruciale non è quello che riguarda l’amore puro e l’amore impuro, ma l’amore sulla terra toccato dall’eternità e l’amore sulla terra che non desidera essere toccato dall’eternità».
Ecco chiarita la dimensione di trascendenza con la quale voglio concludere questa serie di articoli sull’amore. È la terza idea forza sulla quale fondare l’amore nel matrimonio e nella famiglia: la dimensione mistico- sacramentale delle nozze. Il matrimonio cristiano suppone una radicalizzazione (nel senso di portare alla radice) dell’amore.
A mio avviso, si tratta di una operazione inclusiva: non lascia niente fuori di tutto ciò che è umanamente positivo e valido. Non è rinuncia ma trasfigurazione. In questa linea, l’antropologia cristiana contiene un elemento di decisiva importanza, che non si sostituisce alla dimensione umana ma la trascende, appunto trasfigurandola. Mi riferisco alla sacramentalità del matrimonio. In cosa consiste? Utilizzo ancora un testo di J. Bastaire: «Nel dialogo tra gli amanti è Dio che dona Dio, e riceve Dio, non loro stessi. Non perché essi sono spettatori passivi di uno scambio che non li riguarda. Quest’ultimo li implica e li mobilita, ma per assicurare fra di loro la libera circolazione dell’amore». Lo trovo magnifico: il sacramento altro non fa che permettere e favorire la libera circolazione dell’amore! Questo fa degli sposi dei veri mistici, e cioè, persone che hanno un accesso particolare a Dio e lo comunicano con la loro vita.
Poco tempo fa mi sono recato a Madrid per benedire il matrimonio di un mio cugino. Il luogo scelto dagli sposi era un eremo all’interno di una antica azienda agricola. Lo scenario era di singolare bellezza e gli sposi avevano invitato tanti loro amici. Dopo la cerimonia un momento di brindisi prima della cena. Mi si avvicina una ragazza, ancora fidanzata, e mi ringrazia per le cose che avevo detto durante l’omelia. Di colpo, una domanda: «Ma non dicono che l’amore dura solo un anno?». Le statistiche sono davvero crudeli al riguardo.
Torno all’affermazione di Jeanrond. La cosa decisiva è lasciare o meno che l’amore sia toccato dall’eternità. Bastaire lo esplicita ancora: «Battezzate in virtù del sacramento, nella morte e nella risurrezione di Cristo, le nozze varcano la morte che tuttavia non le cancella. Esse sono irrevocabili. Operatrici di eternità, raggiungono il loro esaudimento totale nell’eternità. Il consenso che le fonda trova là il loro esito supremo».
Come non aspirare a un amore così? Nessuno dice che sia facile, ma migliaia e migliaia di coppie in tutto il mondo possono testimoniare che non è impossibile. È un orizzonte entusiasmante. Se vogliamo ottenere qualcosa (e qui parliamo di felicità), bisogna tendere a un massimum.
Il matrimonio cristiano è il modello di convivenza più ricco di relazionalità e quindi più consistente dal punto di vista antropologico (la domanda da cui eravamo partiti nel primo articolo). Questo ovviamente ha delle conseguenze etiche importanti. Ma questo è già un altro tema.