La trappola del perfezionismo
La mente umana è caratterizzata da una grandissima complessità. Essa ci permette di entrare in relazione con gli altri esseri umani, con gli animali, con la natura, con gli eventi, ma prima di tutto con noi stessi e con ciò che accade dentro di noi. Quest’ultima è la relazione più complessa e intensa che viviamo, quella che probabilmente ci coinvolge maggiormente dal punto di vista cognitivo ed emotivo. Tuttavia generalmente la diamo per scontata e dimentichiamo di nutrirla e di prendercene cura.
Cerchiamo allora di comprendere qualcosa in più su questo particolare tipo di relazione che è “la relazione con il sé”. Spesso quando pensiamo a noi stessi cerchiamo di delineare nella nostra mente una immagine precisa di come siamo, con contorni netti e ben definiti.
Nel fare ciò andiamo inconsapevolmente alla ricerca di due caratteristiche: la perfezione e la coerenza. Quello che vorremmo vedere di noi stessi è qualcosa di assolutamente positivo e non criticabile, qualcosa che ci tranquillizzi sul nostro valore, sul nostro “essere OK” da tutti punti di vista. Tendiamo dunque a criticare o a rifiutare quelle parti della nostra esperienza che non sono coerenti con l’immagine attesa.
Ad esempio, una persona che si considera ottimista ed è molto “affezionata” a questa idea di sè, tenderà probabilmente a rifiutare o a vivere con grande disagio emozioni come la tristezza. Penserà ad esempio: «Io non sono una che si butta giù per una cosa del genere. Cosa mi sta succedendo? Non mi riconosco più».
Un simile dialogo interiore difficilmente la farà sentire meglio e la riporterà al “suo ottimismo”. Al contrario in molti casi, tenderà a generare ulteriore tristezza, oppure ansia, inquietudine, paura di non essere così forte e ottimista come credeva.
È importante dunque accorgerci di questo atteggiamento critico e basato su una aspettativa di perfezione che spesso si nasconde in noi. Esso infatti può generare un grande disagio, soprattutto nei momenti di stress, di conflitto, di cambiamento o in generale quando ciò che proviamo o pensiamo non è in linea con ciò che ci sembra giusto provare o pensare in una determinata situazione.
Nel loro libro Mastering the Clinical Conversation gli psicologi e ricercatori Matthieu Villatte, Jennifer Villatte e Steven Hayes sottolineano come «noi siamo tante cose e molte di queste si contraddicono tra loro». Ricercare e cercare di difendere a tutti i costi un’immagine di noi unitaria e coerente è dunque uno sforzo che non solo non ci aiuta, ma ci intrappola in uno stato di costante insoddisfazione. Ci troveremo infatti a confrontare ciò che siamo con ciò che dovremmo essere, ciò che proviamo con ciò che dovremmo provare, e così via.
Il desiderio di cambiare e di essere persone migliori è un motore fondamentale nella nostra vita, a patto che si concentri non tanto sui pensieri, sulle emozioni o sugli impulsi che si manifestano in un determinato momento, ma piuttosto sui comportamenti che possiamo pianificare e mettere in atto nel momento presente per andare nella direzione desiderata.
Accettare e riappacificarci con tutte le parti di noi, incluse quelle che ci fanno provare dolore, che ci fanno sentire fragili e vulnerabili, o che ci sembrano incoerenti, contraddittorie, incomprensibili, è un passo fondamentale per nutrire la relazione con noi stessi.
All’auto-critica e alla ricerca della perfezione possiamo così gradualmente sostituire la compassione, quel sentimento che ci porta ad ascoltare, abbracciare, accudire la parte di noi che soffre, come faremmo con un bambino fragile e impaurito.
Solo amando e accettando noi stessi, pur coi nostri limiti e fragilità, possiamo imparare a coltivare relazioni aperte ed accoglienti con le persone che ci stanno accanto e ritrovare le energie necessarie per vivere pienamente la nostra vita.