La tragedia d’ognuno di noi

L'indicazione della croce alla nostra condizione umana: prendersi ognuno sulle spalle non solo il proprio dolore, ma anche quello di un altro, di una famiglia, di un’impresa, di un vicino, di chi vogliamo.
Giornata missionaria mondiale

La morte di Gesù non è estranea alla nostra situazione personale. La condizione umana non può evitare la morte, ma non fine a sé stessa. Per quanto ci sforziamo di evitare il dolore, questo riappare, con una fantasia straordinaria, come se una mente fertilissima cercasse di farci del male. Nell’oggi impetuoso della "globalizzazione schiacciasassi", in cui si sentiamo un numerino insignificante nella valanga inarrestabile degli eventi, reagiamo spesso irrazionalmente, prendendocela con tutti tranne che con noi stessi: il lavoro non c’è, è colpa dei padroni; a scuola vado male, è colpa del sistema scolastico inefficiente; mio marito mi trascura, è colpa della troppa leggerezza dei rapporti umani… Ognuno può scrivere la sua. E certamente in parte ha ragione. Ma non completamente.

Eppure una società che vive scaricando sugli altri la responsabilità non ha lunga vita. Una società in cui i singoli non prendano su di sé il proprio pezzetto, e anche il pezzetto di qualcun altro, non può essere unita. Un gruppo sociale in cui l’io ha sempre e comunque il sopravvento sul noi non ha futuro.

Molte delle nostre società occidentali, noi italiani siamo indubbiamente tra i primi, stiamo vivendo una crisi d’identità straordinaria: l’individualismo domina, e ne siamo pure coscienti. E sappiamo che così non può continuare. Pensiamo talvolta che più l’individualismo avanza più dobbiamo cercare di incrementare le nostre relazioni sociali, magari cercando di aumentare i nostri “amici” su Twitter o Facebook inviando loro i nostri “selfie”, cioè le foto di noi stessi.

Venerdì Santo, Gesù in croce, mi sembra che ci dica che una via d’uscita c’è a questa trappola dell’individualismo: è quella di prendersi ognuno sulle spalle non solo il proprio dolore, ma anche quello di un altro, di una famiglia, di un’impresa, di un vicino, di chi vogliamo. Chiunque sia, purché sia un altro e non solo me stesso. E così anche il nostro dolore ci apparirà meno grave.

Cari lettori, buon Venerdì Santo. Dalle tante lettere che riceviamo sappiamo quanto dolore c’è in giro: giusto per fare un esempio, ci fa impressione il numero di abbonati che non ce la fanno a riabbonarsi, pur volendolo fare, semplicemente perché non si arriva più a fine mese. Il Venerdì Santo è il giorno del dolore, e basta. Inutile analizzarlo troppo, va solo preso sulle spalle, se possibile, soprattutto aiutandosi l’un l’altro.

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